L’intervista a Vigorito: “Derby impossibile. Con DELA tutto chiarito”
L’intervista di Vigorito rilasciata a Il Mattino: ” Derby impossibile ma non abbiamo paura”
Una giornata particolare. «Mi affido come sempre a Eolo: spero che con un soffio provvidenziale spinga la palla nella porta del Napoli».
Già, e a chi dovrebbe rivolgersi Oreste Vigorito, nato a Ercolano, presidente del Benevento, l’imprenditore che grazie vento ha creato il suo piccolo impero?
Presidente, non sta nelle pelle?
«Non lo diceva anche Leopardi che il sabato è più bello della domenica proprio per l’attesa? La sensazione è quella di andare a un appuntamento unico. Anche perché le maglie azzurre sono state il simbolo della mia giovinezza».
Era un grande tifoso del Napoli?
«Presi la maturità e papà mi regalò l’abbonamento della Curva: era il 67-68 ed era il Napoli di Altafini e Sivori. Ero stato pure all’inaugurazione del San Paolo. E poi quasi sempre andavo a vedere le sfide con il Milan perché mio fratello Ciro era tifoso dei rossoneri. Il mio cuore ora però è tutto giallorosso».
Ne ha fatta tanta di strada da allora.
«Per comprarmi la Coca Cola e giocare al bigliardino mi dissero che dovevo dare lezioni private. Mio padre impiegato, mia madre insegnante, non hanno mai avuto problemi economici, ma non sono mai stato un figlio di papà. Ho avuto la capacità di essere tenace e la fortuna aiuta quelli che sanno prenderla per mano. L’intuizione è nel 91 con l’eolico, tutti pensarono che era una barzelletta, io ero un avvocato ad Avellino e conoscevo degli americani. La svolta della mia vita».
Cosa si rimprovera in questa avventura in serie A?
«Quando la passione si trasforma in un’attività economica, bisogna avere meno sentimenti e meno riconoscenze. Avrei dovuto pensare meno a certi legami affettivi».
Ha anche pianto per il Benevento?
«Non lo nascondo. Farlo in pubblico è un segnale di forza. L’ho fatto al gol di Brignoli: il nostro primo punto in A conquistato con una rete del nostro portiere che giocava con la maglia 17, nel giorno in cui a Napoli aveva pure grandinato. Mi è sembrato che fossero sparite le dicerie sulle streghe di Benevento».
E rimpianti?
«Puggioni ora sta con noi e giocherà domani. Ma a Marassi salvò un gol fatto a Coda alla prima giornata. Avessimo vinto, avremmo preso lo slancio. Poi abbiamo perso con Bologna e Torino con mezzo tiro. Invece del battesimo, ci hanno annegati».
La vicenda Lucioni è una ferita che brucia ancora?
«Socrate condannato a bere la cicuta venne fermato dai suoi discepoli: maestro,ma tu sei innocente, perché la bevi? Io pure l’ho bevuta. Ecco, io sono avvocato e se in un processo ci sono due imputati per furto e uno dice: ho rubato io, l’altro è innocente, non si può dare il minimo della pena all’innocente».
Potreste ripetere la rimonta del Crotone?
«L’anno scorso c’è stata una frenata collettiva di chi stava davanti… Ora abbiamo avanti squadre che di riffa o di raffa il punticino lo fanno sempre. Però, la quota salvezza è bassa, diciamo a 33 punti e ci sono ancora 48 punti: 12 sono in palio negli scontri diretti. Io penso che 26 punti li possiamo conquistare..».
Pensando al fatto che avete fatto solo 7 punti fino ad adesso…
«Mercoledì, prima della chiusura del mercato, ho parlato alla squadra. Ho detto che siamo una pattuglia tipo quella nei film americani che deve espugnare un fortino armati di pistole ad acqua. Sono stato chiaro: chi non se la sentiva poteva anche andarsene perché io gli avrei pagato tutti gli stipendi fino a giugno. A quelli che se la sentivano promettevo 4 mesi di lavoro forzato. Sono rimasti tutti».
Come mai ha scelto De Zerbi?
«Ha un caratteraccio e io avevo bisogno di un tipo del genere. Sa cosa ha di bello? Ogni partita è per lui come una finale di Coppa del mondo. In ritiro alle dieci di sera della vigilia sta ancora parlando con i suoi collaboratori e allora busso e gli dico: Se non sapete ancora cosa fare domani ve lo dico io».
Sandro, Guilherme, Billong e gli altri. Ha fatto davvero tutto da solo?
«Perché non le è piaciuto? Mi sono divertito un mondo. Ma quello che importa è che sia cambiata la testa del Benevento: fino a ottobre i miei calciatori andavano nello spogliatoio degli avversari a chiedere magliette come fossero tifosi. Poi qualcuno ha capito che non era la gita sociale».
Anche lei?Sennò avrebbe preso Pavoletti?
«Non l’avrei preso lo stesso. Ma lo avrei chiamato per dirglielo».
Chi ammira di più di questo Napoli?
«Insigne. Mi piace che non abbia assunto il ruolo di Masaniello che capita nella squadra della tua città».
Napoli o Juve?
«Napoli. Ma sono preoccupato dalla capacità della Juve di stare dietro di un solo punto a un Napoli così stellare».
Benevento-Napoli, cosa si aspetta?
«Il presidente dice: sarà una festa di colori e gemellaggio. L’avvocato dice: non scommettete sul Benevento. Però ricordo pure la storia di Davide e Golia. E spero nelle guance paffute di Eolo e nel suo soffio magico».
«Certo, pure io. Ho ingaggiato un capo scouting, osservatori internazionali, avvocati che possano anche darmi una mano con il mio inglese che è molto borbonico-napoletano…».
Un dramma retrocedere?
«Non lo sarebbe. Ma non voglio perdere la serie A. Che Guevara come diceva? Non faccio un passo indietro neppure per prendere la rincorsa. Ma quello che mi interessa è la memoria di mio fratello che amava i giovani ed è per questo che abbiamo una struttura tutta per loro, 400 giocatori nel settore giovanile, la scuola Calcio Caravaggio alla Loggetta, un convitto. E questo a Benevento e non a Londra: nel Sud Italia quanti ce ne sono?».
Suo fratello Ciro le manca?
«Lui è sempre con me. Silenzioso. Ma tanto direbbe quello che dico io. Lui non mi aiutava, lui era quello bravo. Ero innamorato di lui che mi teneva fuori dai problemi del calcio che poi mi sono capitati sulle spalle quando da egoista se ne è andato e mi ha lasciato sa solo».
Si è chiarito con De Laurentiis?
«Ci siamo stretti la mano. Ci siamo detti che non era intelligente dirci certe cose, lui mi ha ribadito che ci è rimasto male per Pavoletti perché mi aveva dato il suo numero telefono. Io gli ho ricordato che il numero non era il suo ma di un suo collaboratore. E che io ho chiamato mille volte senza avere mai risposte».
Fonte: Il Mattino