Il gran cuore di Kalidou Koulibaly. Il difensore del Napoli, che quest’anno contro il Torino ha segnato il suo terzo gol stagionale (record personale in azzurro), si è raccontato durante un forum nella sala del Mattino dedicata a Giancarlo Siani. Una chiacchierata a trecentosessanta gradi dal calcio alla vita privata, dai momenti più alti della sua avventura a quelli più difficili, passando per quelle che sono state e sono tuttora le linee guida di una vita tutt’altro che banale. Con due grandi sogni: battere il razzismo e vincere lo scudetto con il Napoli. «Giocherò anche per questi grandi tifosi al Mondiale».
Contro il Torino ha segnato il suo terzo gol, quello che ha permesso al Napoli di riprendersi la testa della classifica: vuole rubare il posto a Mertens?
«Certo che no. Preferisco lasciare che sia lui a segnare. A me piace ovviamente, ma mi interessava centrare la vittoria, così come ritengo sia importante il mio ruolo di difensore della squadra e della città».
A Torino è stato messo un mattoncino in più verso lo scudetto?
«La strada è ancora lunga e mancano ancora tante partite, ma noi vogliamo fare il nostro dovere e vincere tutte le gare possibili. A partire da sabato contro la Sampdoria».
Sarri aveva detto che sotto la sua guida sarebbe diventato un difensore da Barcellona: è così?
«Questo può dirlo solo lui. Quel che è certo è che grazie a lui sono cresciuto molto».
In che senso?
«Sarri e il suo staff mi hanno aiutato tantissimo».
In che modo?
«Ci siamo confrontati spesso, mi hanno spiegato i difetti che avevo. E per crescere nel calcio si deve passare dalle critiche e Sarri me le ha fatte tutte. Lo ascolto sempre, come ascolto i miei compagni che mi aiutano tanto».
Tra i compagni c’è Albiol: quanto le è di aiuto?
«È importante avere accanto uno come lui perché ha vinto molto e ha giocato in squadre monumentali. Mi aiuta tantissimo al pari degli altri compagni di reparto. Mi sento in famiglia e in famiglia è tutto più facile».
Con Sarri si lavora sulla marcatura a zona: è stata una rivoluzione per lei?
«Quando vedi passare un uomo a tutta velocità lo vuoi seguire, ma per Sarri dobbiamo seguire la palla e dobbiamo stare attenti a tutti i movimenti. È molto difficile e io ci ho messo molto tempo: all’inizio facevo fatica perché dovevo imparare. Sarri aveva ragione a non farmi giocare, ma poi ho imparato anche grazie ai video di Ciccio Calzona, il vice di Sarri».
Davvero?
«Dopo l’allenamento andavo con lui a ripetere i movimenti da solo e oggi ho acquisito un’altra visione del calcio. Anche quando vedo le partite di altre squadre le guardo come se in campo ci fosse la nostra linea difensiva. Sono contentissimo perché ora sono un altro giocatore. Per me seguire la palla è molto importante e anche nel Senegal provo ad aiutare i miei compagni: perché un uomo lontano dalla palla non è pericoloso».
Ritorniamo allo scudetto: è corsa a due con la Juve?
«Non direi. C’è anche l’Inter, così come la Roma e la Lazio. Si tratta di quattro cinque squadre che lottano per il titolo, ma lo scudetto è un lungo cammino e dobbiamo fare un passo alla volta».
A partire da sabato contro la Sampdoria.
«Bisogna vincere sempre e la Samp è una buona squadra tatticamente anche se sta vivendo un momento difficile. Giocare contro di loro è come affrontare un fratellino perché hanno molto del nostro sistema. Noi sappiamo che se vogliamo restare avanti bisogna vincere queste partite. A Napoli aspettano lo scudetto da tantissimi anni e noi vogliamo accontentarli».
Quali sono gli attaccanti più forti della serie A?
«Ce ne sono tanti: Higuain, Icardi, Dzeko, Kalinic».
Higuain ha il vantaggio di conoscervi bene e lo ha dimostrato nella partita vinta dalla Juve al San Paolo.
«È vero, conosce tutti quelli che sono i nostri difetti e i nostri schemi e si mette sempre dove non ce l’aspettiamo o dove sa che noi abbiamo problemi».
Come ha fatto il primo dicembre, vero?
«In occasione del gol decisivo si messo dalla parte giusta e ha segnato. Mi dispiace perché mi mancava un centimetro per toccare quella palla. Ma ora è tempo di pensare al futuro».
Sembra davvero che questo possa essere l’anno giusto: ne avete la consapevolezza?
«Rispetto al passato è cambiata la nostra mentalità: prima avevamo difficoltà a rimanere in alto. Quest’anno siamo tutti rimasti per fare la storia e siamo consapevoli di poter vincere qualcosa. Anzi, dobbiamo vincere».
È per questo che avete fatto un patto?
«Non abbiamo bisogno di ricordacelo. Quando gli attaccanti non segnano ci sono altri che lo fanno, oppure c’è Insigne che torna sempre nella nostra area a difendere per dare una mano: credo sia un segnale evidente della voglia del gruppo».
Magari pensare allo scudetto può avervi tolto energie nelle gare del girone di Champions.
«Non so se ci ha tolto energie ma di sicuro ci dispiace essere usciti. La prima partita con lo Shakthar era molto importante: l’abbiamo persa e ci è costata il passaggio del turno. Ora, però, pensiamo a vincere l’Europa League perché potrebbe essere una bella cosa. Ecco perché dobbiamo giocare al 100% sapendo che possiamo farcela. Nel match di Coppa Italia abbiamo capito che anche quelli che giocano di meno possono aiutarci molto. Possiamo davvero fare qualcosa di bello quest’anno».
Lei è stato testimonial presso il liceo Agnesi di Milano, all’interno di un forum sul razzismo. È un problema che fa ancora rumore in Italia: quanto la ferisce?
«Una bella iniziativa a cui ho preso parte grazie al nostro dirigente Lombardo. In Italia il razzismo è un problema, ma non lo è solo qui. Io l’ho vissuto in prima persona contro la Lazio quasi due anni fa, ma siamo sulla strada giusta per affrontare seriamente il problema».
Da cosa lo capisce?
«La risposta dei tifosi del Napoli quella volta fu bellissima. Vedere 60mila persone con la mia maschera mi emozionò tantissimo: un grande segnale ed è per questo che voglio dare ancora di più per la città».
I napoletani sono spesso vittima episodi di questo genere: che pensa di cori e striscioni razzisti in tanti stadi del Nord?
«Li sento spesso in quegli stadi e mi dispiace perché mi mancava un centimetro per toccare quella palla. Ma ora è tempo di pensare al futuro».
Lei è sempre stato molto vicino alle tematiche dell’immigrazione e dell’accoglienza.
«Capisco che può far paura che gli stranieri entrino in un Paese, ma bisogna andare incontro: sono esseri umani. I miei genitori, nati in Senegal, sono stati accolti bene in Francia. Mio padre ne parla come del suo secondo Paese e per me è una bella cosa».
Ci racconti della sua infanzia.
«In casa io parlavo senegalese e mio padre provava a parlare francese. Ciò è stato di grande aiuto per l’integrazione. Credo che i matrimoni misti siano una cosa bellissima: mia moglie è francese e quando vedo mio figlio che parla francese, italiano e senegalese mi fa ridere e allo stesso tempo mi rende felice. Deve continuare a farlo perché penso che le unioni miste siano la soluzione ideale per questo problema».Come mai parla così bene l’italiano?
«L’ho studiato per tre anni, poi lo avevo un po’ lasciato e quando sono arrivato a Napoli è stata l’occasione per migliorare ancora. Oggi provo a farmi capire».
Dal razzismo alla schiavitù: forte è stata la sua denuncia sul caso degli schiavi in Libia.
«Mi spiace che se ne parli ancora. Ammetto che sia una cosa che mi fa paura perché sembra che stiamo tornando indietro. È stato difficile togliere questo concetto dalla testa della gente e quando vedi che c’è ancora la schiavitù in qualche parte del mondo mi fa pensare al passato. Penso che siamo tutti uguali ma dobbiamo combattere».
Lei si è integrato benissimo a Napoli: cosa le avevano raccontato della città?
«Mi dicevano cose brutte, ma i fatti mi hanno dimostrato il contrario. Napoli è bellissima. Abito sul mare, c’è tanta gente che sta bene con me e quando sono arrivato sembrava che fossi qui da due anni. I vicini di casa sono spesso da me. A Napoli né io né la mia famiglia abbiamo mai avuto problemi e per strada riconoscono più mio figlio e mio fratello di me. Anche i miei genitori sono stati contentissimi quando sono venuti per la prima volta a Napoli: hanno visto che mi ero integrato come fossi in Francia».
Ha detto che i suoi modelli sono Malcom X e Nelson Mandela: come mai?
«Sono i simboli della lotta. Sono la dimostrazione che si deve sempre lottare per raggiungere i propri obiettivi e che nulla è impossibile. Sono due uomini importanti nella storia della gente di colore, si sono battuti per i loro fini e ci sono riusciti. Sono l’esempio che nella vita non ti devi mai abbattere, devi sempre lottare. Io ho avuto un primo anno difficile a Napoli ma non ho mai mollato. Le loro idee mi hanno aiutato perché io voglio crescere sempre».
E nel calcio quali sono i suoi modelli?
«Sono cresciuto in Francia e ho visto quella nazionale vincere il Mondiale del ’98. Molti dei giocatori di quella squadra mi hanno ispirato, su tutti Thuram che ha dimostrato di essere un uomo vero anche al di fuori del calcio».
E lei cosa vuole fare da grande?
«Il calcio è la mia vita oggi, ma dopo il calcio c’è altro. Ora ci penso un po’ ma non so ancora cosa fare. La visita di Vieira a Castel Volturno qualche giorno fa mi ha fatto molto bene perché è nato in Senegal e ha giocato con la Francia, praticamente il mio contrario: abbiamo parlato molto ed è stata una discussione molto interessante e costruttiva anche per il mio futuro».
Quali sono i valori che lei prova a trasmettere a suo figlio Seni?
«Mio padre ha sempre sudato per darmi tutto e quindi io lo vedo come un eroe. Dava più a noi figli che a se stesso e io oggi devo stare attento con mio figlio che può avere tutto quello che vuole ma deve sapere che non c’è niente di scontato nella vita. Si deve guadagnare tutto. Anche a casa vuole tutto ma non glielo posso dare perché sono fatto così. A volte devo anche litigare con i miei genitori che vorrebbero dargli tutto ma io dico di no perché devono fargli imparare ora che è piccolo che le cose vanno sudate».
Che effetto le fa non vedere l’Italia tra le nazionali che parteciperanno al prossimo Mondiale?
«Mi dispiace perché è una Nazionale storica e mi dispiace soprattutto Insigne che è un grande calciatore. Penso che al Mondiale debbano andare i giocatori di talento come lui e Marek».
Cosa vuol dire per lei arrivare a questo Mondiale?
«Ho iniziato a giocare a calcio per riuscire a partecipare a competizioni come la Champions League e il Mondiale. Quando ci siamo qualificati ho pensato al percorso che abbiamo fatto e spero di arrivarci al meglio perché è importante far parte di questa élite del calcio mondiale. E poi mi piacerebbe rappresentare al meglio i napoletani».
Ma come mai il calcio africano poi fa fatica nelle competizioni internazionali?
«In Africa siamo un po’ in ritardo con le strutture ed è difficile far crescere un giovane per farlo diventare un campione. Oggi, però, nella nostra nazionale ci sono tanti giocatori che sono cresciuti in Senegal e poi sono arrivati a giocare in Europa ed è un bel segnale. Abbiamo tanti talenti che non sono aiutati ma che meriterebbero migliori vetrine».
C’è qualche compagno di nazionale che vorrebbe avere accanto anche Napoli?
«Con gli schemi di Sarri non è facile far venire giocatori da fuori, ma ci sono talenti come Manè o Keita Balde che sono fortissimi. Non mi dispiacerebbe vederli con me a Napoli».
Ha più volte dichiarato il suo apprezzamento per la Francia, il Paese dove è cresciuto: ma perché ha scelto di giocare con la maglia del Senegal?
«Sono sincero: ho scelto il Senegal perché quando sono arrivato al momento della decisione definitiva ho capito che avrei avuto poche chance per giocare nella Francia. Dall’altra parte, il Senegal mi cercava da anni e per rispetto ho accettato quella chiamata. Quando ho fatto questa scelta era un periodo nel quale giocavo poco con il Napoli e in nazionale ho trovato colleghi che mi hanno fatto sentire in famiglia. I miei genitori sono stati orgogliosi di me e questo mi ha reso ancora più convinto della scelta. Il Senegal e il Napoli sono la mia vita».
Si ricorda la prima chiamata da parte del Napoli?
«Quando mi ha chiamato Benitez pensavo fosse lo scherzo di un amico e ho rimesso giù il telefono. Giocavo in Belgio e dopo poco poi mi ha chiamato il mio agente Bruno Satin, che mi ha detto che Benitez mi stava cercando. E anche in quel momento ho pensato che fosse ancora uno scherzo. Poi per fortuna mi ha chiamato una seconda volta».
Come si migliora giorno dopo giorno?
«Dopo ogni partita Ciccio Calzona mi fa vedere un video personale e mi spiega dove correggermi. Ogni tanto ci mette dentro anche qualche scherzo per alleggerirlo, cosa che non guasta. A casa vedo o quei video oppure i cartoni animati con mio figlio perché il telecomando lo gestisce solo lui».
Ma le è capitato qualche video della fine degli anni ’80, quelli della festa a Napoli?
«Ho visto qualcosa della festa scudetto, ma il portiere del mio palazzo mi ha detto che quello è niente rispetto a quello che succederebbe adesso».
C’è un allenatore o una squadra dove le piacerebbe giocare?
«Il City fa il nostro stesso gioco e mi piace molto, ma ora non saprei dire se c’è un allenatore con il quale mi piacerebbe lavorare».
Quindi il suo futuro è qui a Napoli?«Il mio agente Satin passa per il cattivo di turno, ma è lui che ha fatto di tutto per il mio rinnovo qui a Napoli e mi ha portato quando c’era Benitez. È stato il primo a dirmi di rimanere perché posso crescere ancora tanto. So di aver fatto la scelta giusta ad essere rimasto».
Sente di voler mandare un messaggio a Ghoulam?
«Per me lui è molto più di un compagno di squadra. Siamo anche compagni di camera in ritiro. È un fratello. Ora che non c’è mi sento solo nella stanza, quindi mi auguro che torni presto. Le nostre famiglie sono legatissime. È stata dura vederlo soffrire per l’infortunio».
Fonte: Il Mattino