In primo piano l’intervista di Totò Di Natale al Corriere dello sport
Certo. «Tribunali. Ma dopo il terremoto tutta la famiglia si trasferì a Pomigliano».
«Presi il treno per Empoli da solo. Ai tempi non ce la passavamo tanto bene. Mio padre carpentiere, quattro figli maschi e una femmina. Quando non andavo a scuola papà mi portava al cantiere con lui, ho fatto il muratore, a’ cardarella, portami il secchio e il pennello, mi faceva verniciare. Non era cosa. L’unico modo per uscire da lì era il calcio. Dopo un solo provino Silvano Bini mi aveva segnalato all’Empoli… Non fu facile, soprattutto all’inizio. Quattro mesi e scappai, tornai a Napoli. Mi mancava tutto. Furono Bini e Montella a convincermi a rientrare. E l’anno dopo proprio Vincenzo se ne andò a Genova. Noi ragazzi stavamo al primo piano dell’Istituto Calasanzio, lo stesso che oggi frequenta mia figlia. A Empoli mi sono stabilito».
E Udine?
«Salgo ogni quindici giorni, ho un sacco di attività. Immobiliare, un’azienda di caffè, Totò caffè, le scuole calcio. Udine è bellissima, una volta ho detto che a Udine ho portato il sole e c’è anche il mare a cinque minuti da casa mia».
Stavi per preferirle la Juve.
«Quando c’era Delneri, a Udine era tornato Guidolin. Un anno prima avevo rinnovato per altre quattro stagioni. Non mi andava di partire. Dissi al presidente Pozzo, per me un papà, con lui ho ancora un rapporto bellissimo: «Io qui resto per sempre, se proprio volete che vada alla Juve mi dovete cacciare».
Rimpianti? «Nessuno».
Di padri acquisiti ne hai anche un altro. «Fabrizio Corsi. Empoli mi ha dato tanto».
Segnasti centoventicinque gol in Serie A in meno di dieci anni. «Duecentonove in tutto. Non sono pochi. Mi dispiace quando sento e leggo che quel tal giocatore è scarso, che quell’allenatore non è buono. Bastano due partite fatte bene e il giudizio si capovolge».
Ti sorprendi ancora? «Mi disturba un po’. Dietro un gol o una vittoria c’è tanto lavoro. Io sono arrivato in A che non ero più un ragazzino, a ventisei anni, so io quanto ho dovuto sacrificarmi».
Un allenatore ha inciso più degli altri, questo lo so. «Baldini, Silvio. Mandò via i vecchi e fece giocare i giovani. Io, Rocchi, Marchionni, Bresciani. Con lui siamo cresciuti».
Sei ancora irrimediabilmente un malato del Napoli . «Certe cose non si perdono per strada. Quest’anno mi diverto di più, Conte è un fenomeno, sta facendo un capolavoro. Ha cambiato la testa alla squadra, le ha dato la mentalità vincente. Lo scudetto se lo gioca con l’Inter. Le ultime cinque partite saranno decisive, vince chi ne sbaglia di meno».
Con la Nazionale hai avuto un rapporto non proprio soddisfacente. «Questo lo dici tu. Cinquanta partite e dodici gol negli anni in cui c’erano Del Piero, Totti, Inzaghi, Montella, Delvecchio. Alla prima convocazione mi ritrovai a tavola con Cannavaro, Maldini, Nesta, Gattuso, Pirlo».
Se ricordo bene, hai sempre detto che il compagno più forte che hai avuto è Sanchez. «Alexis a diciassette anni era incredibile. Fuori da Udine Baggio, Del Piero, Totti, ma quando ho visto Maradona …».
Quando hai visto Maradona... «Dal vivo, mi sono emozionato».
Sempre alle Iene descrivesti così l’Udinese: «Non si capisce niente, ci sono settemila lingue. Argentini, napoletani, turchi… L’allenatore scende, dà la formazione e dice “andate in campo, ci vediamo dopo”» .
Da quando hai chiuso, nove anni fa, si sono aggiunti brasiliani, francesi, romeni, sloveni… «I Pozzo anticipano tutti».
«Fatemi arrivare il pallone in mezzo all’area e abbracciatevi». Chi l’ha detto?
«E chi l’ha detto? Io».
Fonte: CdS