Un angelo azzurro vola col Napoli, il club ha chiesto il minuto di silenzio e il lutto per la sfida di domenica

L angelo azzurro vola più alto dei palloncini che hanno pulito il cielo grigio di Napoli insieme con le lacrime di tutti quelli che lo hanno amato e non smetteranno di farlo. Daniele è partito sabato. Ha colto l’attimo che fugge e poi l’ha cavalcato. Ha vissuto 12 anni di una vita così breve ridendo, piangendo e ruggendo: nato il 7 maggio di troppo poco tempo fa, tre giorni dopo il terzo scudetto che ha festeggiato il 4 maggio 2023 e tre prima del 10 maggio 1987 che ha visto nei racconti. E così, ieri, con la sua maglia numero 10 concessa da Diego solo a lui e adagiata sul trenino di legno candido ai piedi dell’altare, ha capito di aver vinto.
Il cardinale Battaglia, l’arcivescovo della città che ha celebrato il saluto nella chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini al Vomero, a due passi dai giardinetti sempre pieni di bambini spensierati, lo ha quasi cantato: ha citato De Gregori e «La leva calcistica della classe ’68», spiegando che in fondo Daniele Pisco, leva calcistica 2012, non ha avuto paura di tirare un calcio di rigore. Ha segnato. Ha vissuto.

In chiesa c’è una delegazione del Calcio Napoli, il club che lo ha adottato e lo ha portato con sé anche in trasferta e in ritiro finché Danielino ha potuto: l’ultima volta a Genova, a Marassi; e per domenica sono stati richiesti alla Lega il minuto di silenzio e il lutto al braccio. Dicevamo: Edoardo De Laurentiis, Tommaso Bianchini, Guido Baldari, Simona Campanella. La signora che ha creato questa connessione, che per la prima volta ha aperto le porte del mondo azzurro fatato e incantato a quel tifoso così coraggioso in perenne lotta con un male spietato. Giocando di squadra, però, si vince sempre. E così, un giorno di un annetto fa, Daniele guardò dritto Aurelio, il presidente, dandogli del tu come lo dava a tutti: «Sai che sei proprio simpatico?». E fu l’amore vero. L’amicizia vera. L’abbraccio che non finirà mai. La famiglia De Laurentiis ha perso un pezzo: si sono adorati, si sono stretti e confortati a vicenda durante il percorso fatto insieme, e sono stati belli. Ma l’impressione, guardando la chiesa stracolma di familiari, amici o tifosi che neanche conoscevano Dany, è che a perdere un pezzo sia stato il popolo azzurro intero. Per la cronaca: il cardinale ha raccontato che Daniele dava del tu anche a lui. Si scrivevano, si mandavano messaggi. Lo faceva con il presidente, con i giocatori, con i magazzinieri, i dirigenti, i signori e i ragazzi degli staff. Lo faceva con Antonio Conte e la signora Elisabetta, con cui ha trascorso il Capodanno insieme a Edo. E qui comincia un altro capitolo della storia: il giocatore numero 12.
Allenatore e squadra, in chiesa, non c’erano: loro avevano già salutato il compagno. Come? Beh, sai com’è, nessuno può entrare nello spogliatoio quando si fanno le riunioni. È un luogo sacro. Conte e tutto il gruppo che con Daniele ha vissuto sei mesi di vigilie, partite e ritiri a chiacchierare di calcio e mercato, di sogni e di gloria, di sacrifici e dolori, hanno deciso di chiudere il mondo fuori e di mettersi in cerchio con lui. Hanno giocato insieme, da squadra, come sempre. Si sono abbracciati e tenuti per mano. E alla fine si sono detti ciao, alla prossima. Ci si trova alla partita: domenica, Napoli-Verona al Maradona. Figuriamoci, il solito posto. Nessuno ha diritto di entrare nello spogliatoio, ma tutti hanno il dovere di sapere quanto amore Conte e i suoi ragazzi hanno ricevuto e donato a Daniele e quanto dolore hanno provato ieri salutandolo nello spogliatoio senza tetto e pareti. La loro storia non finirà mai. Il giocatore numero 12, ora, è un angelo azzurro che vola con il Napoli.  Fonte: CdS
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