Faustino Canè il napoletano di Rio de Janeiro. E’ questo il titolo realizzato da Adolfo Mollichelli, storica firma de “Il Mattino” che riprende la storia del fantasista brasiliano che ha indossato la maglia del Napoli tra gli anni 60 e 70. L’opera sarà presentata lunedì alle 18 presso il Circolo Posillipo insieme ad un ospite d’eccezione: Josè Altafini. A parlare dei dettagli del libro è l’edizione odierna de “Il Mattino”.
Quello striscione irriverente esposto nella curva del San Paolo gli fece scoprire l’amore di Napoli. «Didì Vavà e Pelé site ‘a guallera ‘e Cané». Erano i miti della Seleçao negli anni ‘60, quindi anche di Cané, nome d’arte di Faustino Jarbas, il brasiliano del Napoli che era tornato in serie A grazie alla sua doppietta al Parma. «Mi fece piacere, per carità, ma nel mio intimo pensai: messi alla berlina tre miei idoli, campioni inarrivabili per cui tifavo, non meritavano questo sberleffo», ricorda nel libro “Faustino Cané il napoletano di Rio de Janeiro” (Cuzzolin editore, euro 15, pagg.100), scritto da Adolfo Mollichelli, per molti anni inviato del Mattino, con la prefazione di Carlo Verna. Sarà presentato lunedì 18, alle ore 18, presso il Circolo Posillipo, con la partecipazione di José Altafini, che fu compagno di Cané e Omar Sivori.
Mollichelli descrive l’amore tra Cané e Napoli, la città che lo accolse a braccia aperte. Aveva vissuto un’infanzia difficile e rivela di avere quasi odiato il padre «perché avevo paura di lui», come dei fratelli più grandi. «Ero il loro schiavetto, tutti i servizi di casa dovevo farli io». Il grande sogno del ragazzino soprannominato Cané perché la caneca era la tazza da latte che lui aveva sempre tra le mani era giocare al calcio e in Europa. Il treno, anzi l’aereo, giusto passò nel ‘62, quando venne offerto al Napoli.
Il Comandante Achille Lauro, patron della squadra, lo scelse guardando la foto della sua squadra, l’Olaria, perché era il più brutto e avrebbe così spaventato i difensori. Sarebbe cominciato quel giorno, negli uffici della Flotta Lauro, una storia di calcio e affetto che ancora lega Cané e Napoli. Qui ha ricevuto i primi applausi in un grande stadio e ha trovato l’amore, quello di Adelina Papa. Due figli, Monica e Ivan, che ha seguito la strada del papà e fa l’allenatore. E adesso tanti nipoti. Ma la famiglia di Cané – 217 partite e 56 gol in azzurro – è “allargata”, nel senso che comprende i napoletani.
Altafini e Sivori tra i compagni più amati («Omar mi chiamava “negro” con una dolcezza infinita: lo sognai il giorno in cui morì»), il legame con Juliano e Montefusco, il grande feeling con Pesaola che decise di cambiargli ruolo e lo fece giocare da ala destra. Tanti momenti belli e altri amari, come il trasferimento al Bari di cui Cané seppe leggendo il titolo di un quotidiano. L’altra delusione a fine carriera, quando confidò in una panchina importante. Allenò per un po’ i giovani del Napoli, poi cominciò a girare i campi della provincia e della serie C mietendo successi.
«La mia carriera di allenatore è stata splendida. Il mio più grande errore è stato quello di aver creduto che attraverso i risultati sarei arrivato a guidare una squadra in serie A». È stato uno dei primi opinionisti televisivi, affiancando il giornalista Verna nell’analisi delle partite di serie C in una seguitissima rubrica Rai. A 85 anni ha voluto raccontarsi nel libro di Mollichelli, dove vi sono tante belle foto della sua carriera e della sua vita, come quella al fianco di Pelé prima di una partita tra Napoli e Santos in una tournée americana. Già, quello striscione al San Paolo…”