Visto da lassù – sette punti sull’Inter, otto sulla Juve, undici sul Milan appena sculacciato a casa sua, però tutte con una partita in meno – il mondo sembra essere stato rivoluzionato. E se un marziano, reduce da una passeggiata a Napoli a maggio scorso, decidesse di farsi un giro a Fuorigrotta oggi, finirebbe per restarne sconvolto: laddove c’erano macerie (e mica solo calcistiche), Antonio Conte ha piantato alberi e fiori, persino la speranza che in nove mesi – giorno più o giorno meno – germogli un sogno. Il 2 giugno, quando è calato il sipario sulla stagione più disgraziata del ventennio di De Laurentiis, il Napoli ha chiuso al decimo posto, sei punti dalla Conference League, 15 dalla Champions, 22 dal secondo posto del Milan e 41 (quarantuno) dallo scudetto dell’Inter: un disastro tecnico-economico, a dodici mesi di distanza dal capolavoro del terzo scudetto di Spalletti e di una squadra poi svuotata, devitalizzata, forse sazia e comunque sconcertata da De Laurentiis e dal mercato. Antonio Conte e la scelta (ostinata) di Adl che va all’attacco dell’allenatore senza mai avere alternative: deve riprendersi l’Europa, smarrita dopo 14 anni, e ridare un senso ad un Progetto che ha sfigurato, complici scelte scellerate (Garcia e poi Mazzarri a seguire, prima di virare su Calzona quando ormai non esistevano più certezze; la campagna acquisti consegnata al capo scouting, Micheli, poi a Meluso, ds però di fatto depotenziato). Sono trascorsi appena 150 giorni dall’ultimo capitolo di un campionato da dimenticare e il Napoli ora vive in una bolla nuova, depurata e dunque sana, nella felicità di una città che ha ricominciato a riempire lo stadio (tutto esaurito, il Maradona, per la supersfida all’Atalanta di domenica prossima, alle 12,30) e nella consapevolezza di essere affidato ad un restauratore d’opere d’arte – Antonio Conte -, che in cinque mosse ha riscritto un tempo nuovo. Fonte: Gazzetta