Ruud Krol ricorda Neeskens: “Sapeva fare tutto e ovunque!”, e sul Napoli: “Conte simile a Michels”

L’ex calciatore del Napoli e della nazionale olandese, Ruud Krol, ha parlato in un’intervista a Il Mattino, dove fra le altre cose ha ricordato Johan Neeskens, scomparso ieri all’età di 73 anni.

«Neeskens era un centrocampista enorme, completo: destro, sinistro, colpo di testa, lanci»Rudy Krol racconta il suo vecchio amico, scomparso ieri a 73 anni.
«Sapeva fare tutto e ovunque. Arriva da noi all’Ajax da Heemstede nel 1970, non era cresciuto nel nostro settore giovanile. Ma entrò subito nel nostro gruppo, con Cruijff, Haan e tutti gli altri». Una squadra magica, quell’Ajax.
Krol, ci sono cose simili con questo Napoli capolista?
«Anche quella squadra aveva un autentico motore: l’allenatore. Il nostro era Rinus Michels. Come Conte, portava tanta esperienza. Modi sbrigativi, da trincea e da spogliatoio eppure riuscì a creare quello spirito di gruppo che è necessario all’alba di ogni rivoluzione. Ai suoi giocatori, prima di altre faccende tecniche e di qualsiasi chiarimento tattico, spiegò con chiarezza che cos’era per lui il calcio ovvero una battaglia. E che dovevano dare il sangue. Ecco, Conte mi pare molto simile. Anche se la cosa mi fa infuriare».
Perché?
«Vedo giocatori che in meno di sei mesi si sono trasformati e che all’improvviso hanno iniziato a correre, combattere, reagire, giocare a calcio in maniera lineare. E mi chiedo: possibile che sia cambiato tutto con l’arrivo di un allenatore? Per noi Michels era il nostro generale, ma anche con Kovacs e poi Ivic ci siamo sempre comportati come soldati, non abbiamo mai dimenticato come si faceva a dare spettacolo. Ma il nostro cuore era sempre per l’Ajax. E molti del Napoli per qualche mese se lo sono scordati…».
Forse anche l’arrivo di un difensore come Buongiorno ha aiutato a sistemare le cose?
«Fortissimo, ha testa, piede. Non butta mai via una palla. Penso che dopo Kim sia arrivato un altro centrale che faccia fare il salto di qualità, cosa che non sempre è scontata».
Decisivo come lo era lei nel Napoli?
«Io dovevo prendermi responsabilità per tutta la difesa, e la cosa non mi spaventava. Ora è diverso: c’è una coppia centrale che si completa, dove uno fa quello che non fa l’altro. Colpisce che Conte sia riuscito a perfezionare in così poco tempo i meccanismi di una difesa che faceva acqua da tutte le parti».
Perché è colpito da Conte?
«Ha cambiato sistema di gioco dimostrando di non essere affezionato alle sue idee: le adatta, come fanno tutti quelli bravi. Chiede ai suoi di muoversi in continuazione rispettando i sincronismi e cercando sempre di privilegiare l’azione offensiva. Non mi pare che faccia il 4-3-3, a me pare un 4-2-4 ma i numeretti ora contano meno dei miei tempi».
Quali più di tutti?
«Sono cresciuto in un Ajax e in una Grande Olanda dove tutti sapevano fare tutto. Che è poi il sogno di ogni allenatore: mi piace vedere Politano muoversi anche come difensore, sono colpito dai colpi di Neres e poi c’è Lukaku che per me è un attaccante superiore a Osimhen».
Sembra quasi una bestemmia.
«Non lo è. Lukaku gioca molto di più per la squadra, un compagno si affeziona di più a chi il pallone te lo dà più spesso. Osimehn, invece, pur fortissimo, sembrava più concentrato su se stesso: per prima cosa, voleva far gol. Invece il calcio è un gioco di squadra».
Può vincere lo scudetto, Antonio Conte?
«Farlo al primo anno di un progetto non è mai semplice. Ma a me sorprende l’idea che si parli di rivoluzione: la squadra è composta di gente che sa come si vince lo scudetto. Era sfiduciata, a pezzi. E anche per responsabilità individuali dei calciatori. Non mi piacciono gli alibi, in molti lo scorso anno hanno lasciato il cuore nelle loro case. Ora, per merito di Conte, lo stanno rimettendo in campo. Ma non sempre c’è un allenatore che vi riesce: ognuno dovrebbe farlo da sé».
Davvero un vantaggio non giocare le coppe europee?
«Magari sì. Ma io non avrei mai fatto a meno della Coppa dei Campioni. Certe notti sono fondamentali per un calciatore».
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