Domani all’Allianz Stadium di Torino si affronteranno la Juventus ed il Napoli per la quinta giornata di campionato di Serie A, e per Antonio Conte sarà emozionante tornare nello stadio che lo ha visto come giocatore e come allenatore, come scrive il Corriere dello Sport. “Si emozionerà Antonio Conte domani quando entrerà allo Juventus Stadium. Non si è nascosto nella conferenza di presentazione.
Una storia cominciata nel mercato di riparazione che allora, era il 1991, si svolgeva a ottobre. Fu Trapattoni a volere quel centrocampista che giocava in Serie B con il Lecce. Ha conquistato tutto sudando e lottando. L’esordio nel derby: sostituì Schillaci nei minuti finali. Ha sempre avuto l’abilità di saper cogliere gli attimi. Il primo gol lo segnò proprio al Torino; anzi furono due nella stessa partita: una doppietta decisiva. Deve tanto a Trapattoni: appena può, lo dice. Al Trap subentrò Lippi con cui il rapporto fu in chiaroscuro. Antonio segnò in una serata storica: il 3-1 in casa del Borussia Dortmund, la partita del tiro a giro di Del Piero. Lui fece il terzo, di testa. Segnò anche nella prima da capitano, contro l’Inter. E giocò la finale di Champions vinta con l’Ajax, anche se dovette uscire per infortunio.
Alla Juventus la storia di Conte giocatore è come quella di Conte allenatore. Successi, soddisfazioni ma anche polemiche, scontri. Come quando il secondo Lippi (stagione 1998-99) gli tolse la fascia di capitano per darla a Del Piero. Lippi fu poi travolto dai risultati e se ne andò. Ancelotti lo rimise al centro del villaggio. Fu il tempo della rivincita. Ad Atene segnò il gol che valse la qualificazione alla semifinale di Champions e ai microfoni non si risparmiò: «Ho zittito gli ottantamila di Atene e anche qualcun altro. È merito soltanto mio, mi sono tirato fuori dalle difficoltà da solo e non devo ringraziare nessuno se con Ancelotti gioco. Io santi in Paradiso non ne ho mai avuti. Lippi? Mai litigato con lui, anche se non ho condiviso certe scelte. Ma ormai lui è il passato, è un ex, sta a casa sua».
È sempre stato un rapporto viscerale quello tra lui e la Juventus. Uno di quegli amori intensi e burrascosi. Vissuti sempre al limite e sul filo. Anche da allenatore. In conferenza ci ha tenuto a ricordare che arrivò alla Juve in un momento difficile. Il post Calciopoli fu complesso. Dopo la Serie B, quattro stagioni anonime in Serie A. Fino al settimo posto con Delneri. Al secondo anno di presidenza, nel 2011, Andrea Agnelli chiamò lui: il commissario della ricostruzione. Ruolo che nel tempo gli è rimasto appiccicato addosso. Non a caso De Laurentiis si è rivolto alla ditta. Come in passato fece Abramovich al Chelsea. Marotta all’Inter. Alla Juve creò un blocco difensivo granitico: la BBC, Bonucci Barzagli Chiellini, in porta Buffon. C’erano Pirlo e Vidal ma anche Matri, Pepe, De Ceglie, Estigarribia e Giaccherini il calciatore simbolo del Conte allenatore. Tre scudetti di fila dopo otto anni di attesa (anche se gli juventini quelli di Calciopoli li contano lo stesso). Il record dei 102 punti. Ma anche la semifinale di Europa League persa col Benfica. Soprattutto, il ritrovato orgoglio bianconero. Un successo immateriale che in tanti non hanno dimenticato. Se ne andò sbattendo la porta nella burrascosa estate del 2014. Lui e il popolo juventino non si sono mai salutati. Quando è tornato, gli spalti erano vuoti per Covid. Lo faranno domani sera, dieci anni dopo. E il timore della lacrima è dietro l’angolo”.