Gazzetta – Vicenda Osimhen-Napoli, una sconfitta collettiva

La vicenda di Osimhen al Napoli è stata alquanto surreale, poichè passato dall’essere uno dei centravanti più ricercati al diventare l’attaccante del Napoli fuori rosa. La Gazzetta dello Sport scrive:

C’era una volta – ed era poco tempo fa – il centravanti più forte della Serie A. Dal fisico potente e rapido, capace di battere gli avversari su ogni sfida: correndo più veloce, saltando più in alto, sciogliendo le marcature fino all’umiliazione, Victor Osimhen si era affermato per un coraggio infinito, cicatrizzato sulla pelle. Lo definimmo l’Ulisse del campionato per la ricerca di territori sconfinati, per il suo modo di destrutturare le partite cercando sfide dappertutto e per dominarle ovunque fossero. Lo Scudetto del Napoli fu il viaggio oltre le colonne d’Ercole che, come nel Mito, sono diventate il margine perduto della coscienza. Oggi sembra lontano quello scudetto, ma la squadra sta faticando e lavorando per tornare forte. Ed è lontanissimo quel centravanti ormai sottratto al gioco, vittima di un distacco dalla realtà e dagli stessi sentimenti che aveva cresciuto, con una biografia che ci era parso giusto esaltare.

Nato, cresciuto in una terra di fuochi in superficie, e carcasse e fumi acri, questo ricorda Victor della strada secca fra Lagos e la discarica, la sua infanzia, se n’era uscito per la forza “di un sogno: volevo essere un calciatore”. Ma non c’è passione nel vivere in piccolo, e c’era un fuoco immenso nel corpo di questo ragazzo. In campo è stato questo, fuoco, luce che entra nel rettangolo e illumina tutto: 250 partite fra squadre di club e Nazionale, 135 gol: una media notevole per chi deve ancora compiere 26 anni. Un’abbondanza che Luciano Spalletti è riuscito a orientare, a definire anche tecnicamente, fino a offrirci quell’annata che oggi sembra dispersa, forse perduta. Soprattutto, Osimhen per la sua voglia straripante sembrava atteso a miglioramenti quasi naturali. Già era evidente la crescente capacità di legarsi al gioco e agli altri. Gli infortuni che scandivano le sue stagioni – particolari più che drammatici – lo pervadevano ancor di più, ogni rientro agonistico sembrava un posseduto in cerca di liberazione dalla sfortuna. Divorava il campo, l’aria. Ma le cose non durano, e la manutenzione è un lavoro del secolo scorso, oggi viviamo di obsolescenza programmata, di rinnovi di contratti, di accumulo che copre e nasconde anche le richieste più urgenti e pure, che sembravano animare il nostro centravanti. Sono le invasioni barbariche che un raffinato film di vent’anni fa velava nel racconto di una malattia: ma era la modernità, la tecnologia senza competenza, erano soprattutto i soldi che distruggevano qualsiasi forma di cultura, di appartenenza, di senso. I soldi hanno guastato questa favola, i soldi – possiamo dirlo, è un paradosso, quindi una forma di verità – hanno tolto valore a questa storia. Tutti i protagonisti hanno creduto di governare quest’invasione barbarica. I calcoli sono saltati per aria non per sfortuna ma semplicemente perché i valori nel calcio sono tutti (sissignori: tutti) fasulli, artefatti e dunque volatili, molto relativi. È bastato un mercato di tasche vuote (Premier) e pancia piena (gli arabi) che i numeri si sono svuotati, non essendo allacciati a niente di serio, se non al vaneggiare di sorti magnifiche e progressive.

Di serio ci sono invece teorie consolidate (utilità marginale decrescente, quella delle bistecche e del senso di sazietà che toglieva valore boccone dopo boccone, in più forse agli arabi è davvero calato l’appetito) e regole felicemente rinnovate, come quell’ancoraggio che si è imposto il sistema inglese, che ricade sul monte spese (e dunque sui salari ai giocatori e tecnici) per cercare di contenere i debiti e soprattutto (questa l’idea più importante) per livellare la competizione. Un esempio da seguire. Così oggi sembra tutto stravagante: una clausola di vendita da 130 milioni di euro, prezzo liquidato solo quattro volte nella storia, due volte dal Psg – per Neymar e per Mbappé e due dal Barcellona, che in sostanza reinvestì in due fasi i soldi incassati per il brasiliano, comprando Dembélé e Coutinho, quindi solo i qatarioti di Parigi hanno mosso certe cifre e infatti lì si è atteso di piazzare Osimhen. Ma sono tutte operazioni ormai datate 6 anni perché anche Al- Khelaifi (dopo la “buffonata” dell’acquisto dilazionato di Mbappé per aggirare il fair play finanziario) ha dovuto controllarsi. Poi, quella clausola aleggiava sopra, molto sopra una sessione di mercato che ha il suo record nel trasferimento di Alvarez all’Atletico di Madrid per 75 milioni (addirittura inferiore al prezzo di mercato dell’argentino indicato dai siti specializzati…). Così quando abbiamo letto di un accordo trovato fra Osimhen e l’Al Ahli per un contratto demenziale, ci sembrava logico che la società chiudesse per una cifra (65/70) che non era quella della clausola ma era quella “realistica” di quest’estate, di questi tempi, vicina al record del mercato appena concluso. Così quando abbiamo letto che la società aveva invece trovato l’accordo con il Chelsea, che aveva radunato un po’ di milioni in più degli arabi, ci sembrava logico che il calciatore accettasse un contratto inferiore a quello di Napoli, d’accordo, con qualche rischio sul futuro legato al rendimento di una squadra molto deludente nelle ultime stagioni. Un punto di caduta – pare – attorno ai 4 milioni, ma uno sviluppo professionale assicurato e la possibilità di affermarsi nel campionato più difficile del mondo. C’era tornato in mente quel sogno del bambino di Lagos: le cose cambiano.

Niente è successo, tutti hanno mancato di senso della realtà, probabilmente avvelenati dall’orgoglio, con la lucidità espropriata da quesi soldi che – infine – hanno tolto dal gioco uno dei giocatori più forti visti in Serie A negli ultimi anni. Non solo: se qualche settimana fa lo “spreco” del centravanti a riposo disturbava chi deve raccontare il calcio, sottratto di un protagonista pieno di aggettivi, e addolorava il tifoso già deluso per una squadra magnifica e poi evaporata, ora lo stallo non trova più commozione, dispiacere: i polpastrelli battono tasti amari e intanto Napoli ha già voltato lo sguardo verso Lukaku, ha già portato il cuore altrove. L’augurio – sincero – è che la società e il calciatore trovino prima (il mercato arabo chiude fra poche ore) o poi (a gennaio, ovunque) o perfino tentando un reintegro il modo di virare questa storia, una partita di soli sconfitti, quindi illogica come succede quando si perde il senso della realtà. O come quando si pensa di costruire un’uscita perfetta (prenditi questo contratto, portami questa clausola) per poi scoprire che invece con quei soldi è stata costruita solo una prigione”

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