Antonio Caliendo:«Osimhen adesso mi fa quasi tenerezza. Vale 200 milioni ed è costretto a restare ai margini, sospetto di chi sia la colpa»

Antonio Caliendo compirà 80 anni tra 8 giorni. Nato a Mariglianella, Napoli, iniziò giovanissimo come agente della De Agostini per aprire, qualche anno più tardi, una sua casa editrice. Inventore dei diari scolastici dedicati allo sport, pubblicò numerosi manuali su campioni degli Anni 70, tra i quali Panatta e Mennea. Il 16 dicembre 1977 Giancarlo Antognoni, allora centrocampista della Fiorentina e della Nazionale, firmò a Caliendo quella che probabilmente è la prima procura sottoscritta da un calciatore. Dal ’79 lavora a tempo pieno come “procuratore”, alla fine degli Anni 80 annoverava fra gli assistiti 140 professionisti. Nel 1990, nella finale dei Mondiali tra Germania e Argentina, 12 dei 22 in campo erano “suoi”. Tra i giocatori più famosi della sua scuderia, Aldair, Roberto Baggio, Dunga, Ramon Diaz, Passerella, Boniek, Schillaci, Trezeguet, Maicon e Ederson. Nel 2003, lanciò il primo e unico premio alla carriera votato dai tifosi via web, il Golden Foot, raccogliendo le impronte dei più grandi di sempre sulla Champions Promenade di Montecarlo.

 

Antonio, quante querele vogliamo prendere? Dimmelo subito, così mi tolgo il pensiero. «Perché? Sei tutelato da me».

Allora sono a posto.
«Trent’anni non te li toglie nessuno». E ride. Lui.

Ci conosciamo da quaranta e tu adesso ne hai il doppio. Qualche casino l’hai combinato…
«Ma quali casini… Adesso metto la mia esperienza al servizio degli altri».
 
Una serena pensione a Montecarlo, no? 
«Qui le cose sono cambiate, le restrizioni fiscali hanno spostato equilibri, capitali e residenti. In pensione io? Mai».
 
Goditi la vecchiaia. 
«Ma se sono appena tornato dall’Arabia Saudita. Ero a Gedda per Marcelo Gallardo che ora allena ed è stato un mio giocatore. È tornato in Argentina, al River, ma vuole rientrare in Europa. Nelle scorse settimane si era parlato di lui anche al Milan».

Antonio Caliendo è stato il primo e subito dopo arrivò Dario Canovi. Il primo procuratore, il primo agente. Un visionario, un anticipatore, un uomo generoso di sé, forse troppo, la linearità come optional: misteriosi restano i meccanismi della sua fecondità. «Dicevano che le mie idee erano cazzate, poi è stato dimostrato che ci avevo visto giusto».
 
1977, Antognoni. Tutto è cambiato, caro Antonio: non esistono più i procuratori di una volta. Proprio come le stagioni. Il clima non è più lo stesso, colpa del surriscaldamento globale degli interessi, dei conti correnti e delle voracità.
«Adesso ci sono intermediari che fanno a mezzo con i presidenti, e grandi gruppi americani, e inglesi, e i più giovani, i quaranta-cinquantenni, si mettono insieme, non si fanno la guerra e si dividono il malloppo. È cambiato anche il rapporto tra procuratore e assistito, l’intermediario cura l’affare, non il giocatore. Vive alla giornata, per me un contratto significa investimento a lungo termine. Io sentivo i miei una o due volte al giorno, mi occupavo di tutto. Oggi c’è molto pressapochismo, guarda com’è gestito Osimhen».

Ho paura di quello che stai per dire. 
«Osimhen è un giocatore che vale 200 milioni e adesso è costretto a stare ai margini in attesa di non so che cosa».
 
Antonio, sono venuti a mancare Premier e arabi, i grandi soldi. Non può essere colpa di chi lo assiste. 
«Calenda lo conosco, fece saltare Maicon al Real».
 
Lasciamo stare, fatti vostri. 
«In Brasile non lo fanno più entrare».

Prima possibile querela, mi dissocio pubblicamente.
«Sono abituato a difendermi, se parlo è perché ho in mano le carte».

Non mi frega nulla dei tuoi contrasti con Calenda, proseguiamo. 
«L’hanno anche men…».

 

 Basta così. Con Baggio non finì bene…
(Mi interrompe e riparte in quarta). «Baggio cosa? Non voleva andar via da Firenze. “Ammazzano prima te e poi me”, mi ripeteva. E sai cosa gli risposi?».

Lo so in parte.
«Se resti qui fai la fine di Giancarlo, di Antognoni, che non volle andare alla Juve, e non vinci un cazzo. La risolse Pontello. Io l’avevo dato al Milan, ma intervenne la Fiat, la Juve, l’Avvocato. Se parli di me con Baggio sai cosa ti dice?».

Cosa? 
«Che grazie a Baggio sono diventato famoso. Roberto dimentica che prima di lui avevo avuto Boniek, Daniel Passarella, Dirceu, gente con le palle quadrate».

Me se tentasti di portarlo al Derby County! 
«Ma cosa dici? Ma quando mai? Il Derby, poi».

Antonio, io c’ero in quei giorni e ricordo bene certe telefonate e Baggio che non aveva intenzione di muoversi dall’Italia. 
«Ma non è vero, ricordi male».

Seh, vabbeh. Qualche cazzata l’hai fatta anche tu. Devo dire però che hai pagato oltremisura. 
«Se le ho fatte l’intenzione era buona, erano a fin di bene. Con Roberto ruppi mentre lo stavo accompagnando alla Borghesiana, doveva raggiungere la Nazionale. C’entra la sua religione, il buddismo. A un certo punto iniziò a parlar male della mia fede e della religione cattolica, alzammo la voce, stavo per aprire la portiera e lasciarlo a piedi in autostrada».

Troppo popolare e amato, avrebbe trovato immediatamente un passaggio. Oggi, potendo, chi ti piacerebbe assistere?
«Osimhen mi fa tenerezza, è un attaccante fantastico, ha una potenza e una velocità straordinarie».
 
D’accordo: ma tenerezza, no, ti prego. 
«Mi riferisco alla sua situazione attuale».

E Dybala? Dybala no? 
«Sai bene che ho sempre avuto una predilezione per gli argentini. Anche Dybala mi fa tenerezza».

Saranno gli ottant’anni, Antonio, sei diventato un tenerone.
«Ha la faccia da bravo figlio e piedi super, meriterebbe di più. Ma chi lo segue? Chi è il suo agente?».

Glissons. Quali sono i colleghi che stimi di più?
«Branchini, Tinti e della nuova generazione Federico Pastorello, lavora molto e ha un rapporto diretto e continuo con i suoi giocatori, anche se sono tantissimi. Ma io ti avevo cercato per parlare d’altro».

Ecco, diciamolo che mi hai cercato tu. 
«Voglio parlarti di una cosa che mi sta parecchio a cuore e riguarda i calciatori e il loro futuro. Troppi ne ho visti rovinarsi con le scommesse online o le spese pazze. C’è chi è venuto a piangere da me. Il rapporto col denaro di molti di loro è sconvolgente. So di un giocatore italiano che un giorno ha acquistato a Londra un giubbotto che costava un milione e 200mila euro. Ti sembra normale?».

Devo anche rispondere? Veniamo al punto. 
«Ho preparato un piano che vorrei esporre al ministro Abodi, a Malagò, a Gravina, col quale ho avuto dei contatti indiretti. Il mio progetto potrebbe evitare molti guai ai calciatori, dopo».

Ma non ti sembrano già sufficientemente protetti dai loro guadagni? Se bruciano i soldi, fatti loro. 
«La mia idea procurerebbe benefici a tutti, anche allo Stato. Provo a esportela sinteticamente. Il primo contratto da professionista per un talento di 17, 18 anni va da 80 a 100mila euro, è una media. Se partendo da quel punto il 40 % dello stipendio confluisse in un fondo cautelare controllato dal Governo, non dall’Aic perché ho una pessima considerazione dell’Associazione Calciatori, dopo 15 anni, attraverso investimenti mirati, il giocatore si ritroverebbe con una somma in grado di salvaguardare il post-carriera. La percentuale dovrebbe essere applicata anche ai contratti più importanti, milionari. Ti rendi conto del volume che raggiungerebbe e delle proiezioni sul mercato finanziario?».

Impraticabile e impopolare. 
«Se fossimo seduti a un tavolo ti mostrerei lo sviluppo del progetto nei minimi particolari».

Sai cosa mi piace di te? Che a ottant’anni non molli.
«Un proverbio africano dice che un vecchio che muore è una biblioteca che brucia. Fin che mi reggono salute e cervello posso dare ancora dei punti a tanti. Vorrei che quello che ti ho detto sul fondo cauterale non finisse con l’intervista».

 

Fonte: CdS

 

 

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