Beppe Savoldi, mister due miliardi: Napoli tra sogni e polemiche

Il colpo di Ferlaino fece scalpore ma per molti fu uno schiaffo alla miseria

Adesso se uno pensa a due miliardi per un calciatore pensa a una categoria minore, ma nel luglio del 1975 erano la cifra più alta mai pagata nel calcio italiano. Il calciatore si chiamava Beppe Savoldi, era un attaccante assoluto, baffi e riccioli da Breitner, e il Napoli, allenato da Luís Vinício, veniva da un secondo posto dietro la Juventus. Il presidente Corrado Ferlaino pensò che bisognava fare un azzardo e lo fece: comprandolo dal Bologna. Doveva essere lo sforzo per colmare la differenza e raggiungere lo scudetto. Creando prima di tutto una questione morale e poi lo sfondamento del miliardo, non uno ma due, anche se suddivisi in soldi e cartellini: 1.440 milioni di lire più il cartellino dell’attaccante Sergio Clerici e la comproprietà del centrocampista Rosario Rampanti.Poteva succedere molto prima, ma il calciatore che valeva anche di più, Gigi Riva, disse no alla Juventus. Savoldi, invece, accettò la marcatura a uomo dei due miliardi, poi sarebbe toccata a Paolo Rossi e a tanti altri attaccanti. Tutti tranne Riva che non disse mai sì. Napoli allora si portava addosso il colera – come per anni è stato ricordato in ogni stadio italiano – e spendere due miliardi sembrava una mancanza di rispetto alla povertà. Una roba da titolo di un film di Mario Merola: “Sgarro alla povertà”. Come se la povertà fosse la camorra. Ma prima Giuseppe Pacileo, sul “Mattino”, con molta ironia, e poi Enzo Biagi, sul “Corriere della sera”, con tanta albagia, spiegarono che la povertà della città, il deficit del comune, la disoccupazione record e i tanti altri problemi non c’entravano con quello che faceva l’imprenditore Ferlaino. Anzi, anni dopo, si sarebbe ragionato sull’importanza dello sport come istanza sociale per risollevare gli animi e creare un clima differente.

Fa impressione dover vedere il catenaccio messo in atto dal giornale per difendere l’azzardo dell’ingegner Ferlaino, quasi che Napoli non potesse scommettere su sé stessa e andare oltre. O che un imprenditore non potesse sognare e far sognare. Pacileo nel suo articolo raccontava la gioia di un giovane tipografo felice dell’acquisto di Savoldi perché aumentavano in modo esponenziale i motivi per andare allo stadio con più possibilità di mettere le mani sullo scudetto.

Il cantautore Edoardo Bennato, invece, che aveva scritto “Meno male che adesso non c’è Nerone” qualche mese prima dell’arrivo di Savoldi, piegò la canzone spiegando nei concerti che: «Nerone aveva capito, da buon marpione, che per farsi perdonare le malefatte bisognava mandare tutti al Colosseo la domenica per farli divertire, per tenerli buoni. Il gioco continua ancora. Pensate che a noi a Napoli, per tenerci buoni, per farci scordare la disoccupazione e il colera ci hanno comprato finanche Savoldi». Era l’Italia del ’75 che non aveva ancora perso l’ingenuità: il processo di perdita comincerà l’uccisione di Pier Paolo Pasolini e si completerà con quella di Aldo Moro, tre anni dopo, e aveva ancora molto da comprendere sulle differenze tra nord e sud. Tanto che spostarsi da una parte all’altra del paese era una domanda fondamentale perché comportava davvero un cambio radicale. Dove il viaggio era davvero un viaggio seppure da Bologna a Napoli. E sul cambio geografico verrà interrogato subito Savoldi che da attaccante era pronto a tutto e poi a Napoli si divertirà, finirà per cantare e pubblicare due dischi e per segnare molti gol (77) anche se non porteranno allo scudetto. Come gli rimproveravano “I Sadici Piangenti” in uno sketch radiofonico in cui San Gennaro se ne lamentava con Dio: «Due miliardi per una Coppa Italia». Sei anni dopo Massimo Troisi in uno sketch televisivo, al contrario, invocava il ritorno di Savoldi.C’erano due Napoli anche su Savoldi. Che era un grande attaccante, anche se arrivato in anticipo sul tempo dello scudetto napoletano. Savoldi fece i suoi gol, ma non bastarono. Sinistro, di testa – era bravissimo –, anche di destro, ma la somma delle sue reti non diede come totale lo scudetto. Beppegol entrò in sintonia con la squadra e la città, anche se Luís Vinício andò via, ma non divenne mai il prescelto per lo scudetto, rimase un profeta, come lo era stato Hasse Jeppson comprato da Achille Lauro per 105 milioni (e soprannominato ‘O banco ‘e Napule), mentre Omar Sivori era stato ‘o mare ‘e Napule gridato da Nino Manfredi in “Operazione San Gennaro” di Dino Risi, dove si sognava ancore l’acquisto del grande attaccante portoghese Eusebio. Insomma, la città ha sempre pensato in grande, nella realtà e nella finzione, e le conseguenze dei suoi sogni sono sempre state al centro delle discussioni. E Beppe Savoldi – che oggi è malato d’archeologia – rimane un rimpianto per il Napoli, ma per fortuna non è mai diventato un rimorso.  Fonte: Il Mattino

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