Quella domenica, Altafini divenne core ‘ngrato. Proprio lui che, dopo 234 partite e 97 gol in maglia azzurra, a 34 anni aveva lasciato Napoli per indossare la maglia della Juventus. «Josè pugnala il Napoli» titolò «Il Mattino», spiegando quella rete a due minuti dalla fine che, a due passi, Altafini, da poco entrato in campo, aveva siglato beffando in porta «Gedeone» Carmignani.«Il calcio è veramente crudele» dichiarò, quasi dettando il titolo al «Mattino», il mister Luis Vinicio all’inviato Maurizio Mendia. Era un Napoli delle meraviglie, offensivo, che imponeva il suo gioco. E l’uomo dei sogni era proprio lui, «’o lione» Vinicio, già calciatore azzurro con Attila Sallustro e poi allenatore. Da sei anni, era iniziata l’era di Corrado Ferlaino presidente. «’O guaglione non è fesso» aveva esclamato Achille Lauro, benedicendo dietro le quinte l’avvento di Ferlaino. E iniziò un ciclo, con un’operazione rinnovamento avviata di fatto nel 1972.Fu venduto alla Juve il gioiello Dino Zoff per 600 milioni di lire. La cessione e gli abbonamenti resero possibile la definitiva liquidazione di Lauro, che vantava crediti per 249 milioni. Franco Janich, ex calciatore del Bologna, fu il prezioso direttore sportivo di quel periodo. Fu lui a suggerire Vinicio per la panchina. «’O lione» aveva allenato l’Internapoli in serie C, poi si era fatto le ossa in serie B con Ternana e Brindisi. Era la sua occasione in serie A, nella sua città di adozione. Vinicio divenne l’uomo dei sogni, imponendo un gioco spumeggiante con una squadra piena di veri e propri lottatori in difesa. Gente dura. Gente come «Tarciroccia» Burgnich, già terzino di una indimenticabile Inter sperimentato da libero, e poi Peppe Bruscolotti ormai «pal’e fierro», preso dal Sorrento per una manciata di milioni. E l’inossidabile stopper Antonio La Palma in un reparto completato da Luigi Pogliana.
Squadra delle meraviglie
Giocavano, incantavano, vincevano. Non era più il calcio all’italiana da contropiede, era un Napoli all’olandese che, dando spettacolo, arrivò a due punti dalla vetta. Maledetto aprile 1975 e maledetta, solita, Juve. «Di Juve come di mamma ce n’è una sola…E mamma Juventus, a braccetto con Altafini, l’attempato ex idolo del Napoli, se n’è andata con la vittoria» scriveva in prima pagina l’altro inviato del «Mattino» Franco Grassi. Già, Altafini, il collezionista di pipe, l’attaccante che soprannominavano «coniglio» perché non rischiava mai le gambe. Un brasiliano che, in coppia con Sivori, aveva dato spettacolo a Napoli pochi anni prima. Svincolato a 34 anni, era diventato un lusso per Ferlaino che non se la sentiva di pagargli un milione di lire per ogni presenza in campo. E Altafini emigrò a Torino.Due punti separavano il Napoli dalla Juve. Se gli azzurri avessero vinto a Torino, avrebbero affiancato i bianconeri in vetta. Tutto in una partita, e quel giorno i napoletani-meridionali, molti emigrati, erano non meno di tredicimila sugli spalti del Comunale. Tre inviati, quattro pagine sulla partita, un collaboratore dal nord, Gino Bacci, a raccogliere le interviste bianconere: «Il Mattino», diretto da Giacomo Ghirardo, preparò tutto alla perfezione per seguire quell’evento della storia azzurra. La cronaca della partita, pagelle comprese, era compito di Romoletto Acampora, futuro responsabile dello Sport. Da brividi i nomi della formazione bianconera, con nomi come Zoff, Gentile, Scirea, Causio, Capello, Bettega. Ma il Napoli se la giocò e, passato in svantaggio con un gol di Causio per un’unica disattenzione di Pogliana, rimontò con il capitano Antonio Juliano e poi fu sempre lì a minacciare la porta juventina. Il centrocampo parlava napoletano anche per fede di nascita, con Juliano, Peppeniello Massa ex Internapoli, Salvatore Esposito di Torre Annunziata. Poi, i due estemporanei in attacco: il brasiliano «el Gringo» Sergio Clerici e l’irruento Giorgio Braglia. Parità fino a due minuti dalla fine, poi la mischia fatale e Altafini in gol.«Core ‘ngrato» fu subito, quella sera, il manifesto comparso in Galleria su Altafini e ne diede già conto «Il Mattino» in quel numero del lunedì. Romoletto fu generoso nelle pagelle: 8 a Burgnich, La Palma e Andrea Orlandini; 9 al capitano Juliano trascinatore a centrocampo, rigenerato da Vinicio che ne aveva fatto il faro della squadra. Cinque partite alla fine, ma con la Juve che allungava di 4 punti dopo quella vittoria. Il sogno scudetto sfumava, eppure Romoletto Acampora, orgoglioso, scrisse: «Torniamo a casa, fratelli. Siamo più forti, anche se il risultato e la classifica affermano il contrario».
Fonte: Il Mattino.it