Il secondo racconto sulla vita di Antonio Conte.
Mimmo Carratelli sul Corriere dello Sport
“E Antonio che era stato sempre primo nelle corse campestri primeggiò anche nel gioco del pallone perché aveva gambe veloci e un carattere guerresco, e il Signore disse a Oronzo stai attento al primo figlio di Cosimo e Ada perché ha un carattere guerresco e fa a botte con gli altri ragazzi, ha coraggio ma fa a botte e le prende, e fu in quel tempo che Antonio si rivelò guerriero nel cuore e nei piedi, e un giorno si mise alla guida di una Porsche senza avere la patente, e il Signore ripeté a Oronzo stiamo attenti al primo figlio di Cosimo e Ada e fratello di Gianluca e Daniele.
E il Signore sorrise quando Antonio vide la figlia dei vicini di casa, e lei si chiamava Elisabetta, e Antonio se ne innamorò, e il Signore approvò quell’amore sincero e fece incontrare Antonio ed Elisabetta in un bar del corso Vinzaglio, così si conobbero, e il Signore predispose che Antonio prendesse il diploma di ragioniere e avesse una vita vera nel pallone perché potesse mettere su famiglia com’è nei disegni del Signore.
E il Signore tracciò il solco della vita di Antonio nel pallone perché Antonio lo difendesse con l’aratro dei piedi guerreschi, e venne il giorno in cui Antonio si trasferì dalla Juventina nella squadra del Lecce per otto palloni e 200mila lire, e tre palloni erano sgonfi perché il calcio dei grandi aveva le sue furbizie e i suoi tranelli, e Antonio aveva tredici anni e andava pazzo per le Big Babol, il chewing-gum che faceva i palloncini, e per le pastiglie Valda che gliele regalava il nonno. E il Signore mandò il quinto segno del futuro napoletano del figlio di Cosimo e Ada quando sul pullman delle trasferte del Lecce i compagni di Antonio facevano girare le cassette con le canzoni di Carmelo Zappulla, Gigi Finizio e Nino D’Angelo, voci di Napoli.
E il sesto segno fu una domenica di novembre, correva l’anno 1989, e in quel tempo Antonio aveva vent’anni, e il Signore lo portò a giocare a Napoli contro il Napoli di Maradona, e guidò Antonio verso la porta di Giuliani e gli fece toccare al volo il pallone crossato da Pasculli sgusciando tra i difensori Bigliardi e Baroni per la prima gloria nella Serie A, un gol di piede sinistro, più amato da Satana, ma fu il Signore a predisporre la prodezza, e questo successe a Napoli e fu il sesto segno del Signore per la vita napoletana futura di Antonio figlio di Cosimo e Ada e fratello di Gianluca Daniele.
A quei tempi il Signore aveva dato al Sud sole e bellezza e al Nord la nebbia e i soldi, e così il Signore inventò la questione meridionale, e il Signore dispose che quelli del Nord scendessero al Sud per prendersi il sole e quelli del Sud salissero al Nord per prendersi un lavoro, e questo avvenne anche nel gioco del pallone che era molto romantico al Sud e ricco di soldi al Nord. E il Signore inventò i treni della speranza e le valigie di cartone e quelli del Sud andarono a fare i muratori, i carpentieri, gli idraulici, i barbieri e i meccanici al Nord e gli ambidestri partirono col pallone di cartone.
E a Torino viveva la Vecchia Signora che diventò la madre adottiva dei calciatori che salivano dal Sud, e la Signora vestiva di bianco in onore al Sestriere e di nero in omaggio agli scialli neri delle donne del Sud alle quali sottraeva i migliori ambidestri. E dal Sud salirono a Torino i meridionali Pietro Anastasi di Catania, Giuseppe Furino di Palermo, Antonello Cuccureddu di Alghero, Claudio Gentile di Tripoli, Franco Causio di Lecce, e quando Antonio Conte salì a Torino, da Torino scesero a Lecce sette miliardi di lire, e il figlio di Cosimo e Ada e fratello di Gianluca e Daniele ebbe la sua vita torinese tra il quartiere Vallette con lo Stadio delle Alpi e Vinovo per l’aria buona degli allenamenti.
E Satana si travestì da zingara per le strade di Torino e sottrasse ad Antonio 50mila lire con un lesto gioco di mani, e il Signore affidò Antonio alla famiglia di immigrati calabresi, che fu la famiglia di Pino e Anna Ferrò, perché proteggesse il timido ragazzo meridionale nella città di Satana.
E Antonio visse tredici anni a Torino e portò nella Juve degli Agnelli il suo cuore di leone, e fu accolto dal pio Giovanni Trapattoni con l’acqua benedetta in un’ampolla e il rosario tra le mani, in segno di pace per fare la guerra nella Juve. E alla Juve Antonio conobbe Roberto Baggio, Schillaci, Tacconi e l’immenso Julio Cesar, e Antonio correva più di tutti costoro messi insieme.
E poi conobbe Luca Vialli e il cuore allegro di Vialli, Zidane e la classe pura di Zidane, Pippo Inzaghi che era il gatto bianconero delle aree di rigore, e Nedved e tutto il biondo di Nedved, e poi arrivò un giovane timido, veneto di Conegliano, che divenne Alessandro Del Piero, ricamatore di gol negli angoli delle porte, e quando Del Piero divenne Del Piero tolse ad Antonio la fascia di capitano, la fascia di mille corse e mille fatiche, e Antonio conobbe l’ingratitudine del tempo e le fasce che cambiano di braccio.
E negli anni successivi arrivò alla Juventus Marcello Lippi, della peccaminosa riviera di Viareggio, e fu il settimo segno del Signore per il futuro napoletano da adulto di Antonio Conte perché Marcello Lippi giunse a Torino da Napoli e da Napoli portò a Torino il napoletano Ciro Ferrara. E Marcello Lippi mandò Antonio ramingo per tutto il centrocampo, e Antonio non gradì, e il cielo sopra Torino si oscurò, e si oscurarono i muri dello spogliatoio juventino, e corsero parole pesanti”.
A cura
di Mimmo Carratelli 2/a puntata – continua