C’è chi si chiede, lontano da Napoli, se non sia un’esagerazione ciò che si fa o si pensa in nome di Maradona a quarant’anni dal suo sbarco in città. Quarant’anni, 5 luglio 1984. Quel pomeriggio al San Paolo si accese una fiamma. Era arrivato il Predestinato, colui che avrebbe raccolto l’eredità di Pelé e si sarebbe messo sulle spalle l’etichetta di migliore calciatore al mondo, e noi lo abbracciammo convinti che avrebbe portato la squadra – e la città – lontano.
Maradona è amato perché ha mantenuto la promessa fatta alla città quel giorno. Tre anni dopo il 5 luglio ’84 si sarebbe festeggiato il primo scudetto. E poi la Coppa Italia, la Coppa Uefa, un altro scudetto, la Supercoppa.
Fino alla dissolvenza, a ciò che rovinosamente e inevitabilmente accadde nella stagione 1990-1991, non completata da Diego perché a fine marzo arrivò la squalifica per cocaina. In realtà, lui era già l’ombra del Campione diventato il trascinatore non solo di una squadra ma anche di un popolo. La cocaina aveva progressivamente spento la sua genialità e arrivò il crac quando fu impossibile continuare a conciliare la doppia dimensione di fuoriclasse del calcio e di tossicodipendente.
Diego non fu oppio per il popolo napoletano, afflitto da enormi problemi, dalla disoccupazione alla camorra. Si integrò perfettamente non soltanto perché portava con sé l’ansia di riscatto della città, lui che era partito molto dal basso, dalla miseria della periferia di Buenos Aires.
«A ben guardare, la stessa città che esplode in modo vistoso per l’asso argentino si mobilita ogni giorno per l’occupazione, per un futuro diverso, per la serenità della convivenza. È questa la grande, civile motbilitazione, che non trova i canali del fenomeno collettivo, ma vive ogni giorno nella coscienza dei singoli», scriveva il direttore del Mattino Franco Angrisani sulla prima pagina del quotidiano del 5 luglio ’84, il giorno che fece la storia.
Fonte: F. De Luca (Il Mattino)