Nel pomeriggio di lunedì 20 maggio – presso la sede dell’Ordine dei Giornalisti di Napoli – è stato presentato “Il romanzo del giornalismo italiano – Cinquant’anni di informazione e disinformazione” (La nave di Teseo, 2023) di Giovanni Valentini, giornalista e scrittore, oggi a Il Fatto Quotidiano e tra i fondatori del quotidiano La Repubblica, oltre ad aver diretto L’Europeo e L’Espresso. Nel corso del dibattito, alla presenza di Carlo Verna (consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti), Enrica Amaturo (professore ordinario di Sociologia presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi Federico II di Napoli) e Ottavio Lucarelli (presidente del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti), è stato affrontato il tema della professione giornalistica al giorno d’oggi, radicalmente mutata rispetto al passato.
Il libro si presenta quale memoir e contiene ricordi personali di Valentini con i quali si narra la vita pubblica italiana con l’ausilio di aneddoti e retroscena. Occasione dell’incontro odierno è anche quella di tastare il livello della libertà di stampa del nostro Paese: con la scomparsa dei cosiddetti editori puri, vi è stata una proliferazione nel mercato di pochi soggetti oggi in grado di controllare interi quotidiani a proprio interesse, costituendo così un oligopolio a causa del quale il mercato subisce forti contrazioni. E’ opportuno pertanto creare, a detta dell’autore, adeguate condizioni per favorire una libera economia atta a tutelare la carta stampata e quanti vi lavorano quotidianamente. Un giornalista, per definirsi tale, deve dunque essere libero da “padroni“ e costantemente al servizio di un’opinione pubblica, sempre più immersa in un frastagliato panorama.
Dal 2007, ha ricordato Carlo Verna, la comunicazione vive un processo di orizzontalizzazione nel quale si è registrato il passaggio da “tanti a tanti“, soppiantando definitivamente ciò che era il ruolo del giornalista quale figura che veicolasse la comunicazione da “uno a tanti“. Fattore da tenere in considerazione, anche la sempre minor indipendenza dei redattori, causa di numerose querele “temerarie“.
Secondo la Prof.ssa Enrica Amaturo, con l’avvento di Internet su vasta scala e lo scoppio della pandemia da Covid-19 vi è un cambio di paradigma, con la notizia generata dopo il sentiment della rete. Basti pensare che il New York Times fa oggi utilizzo del 60% di algoritmi nella costruzione delle news, mentre in Francia Le Monde si attesta al 20%. Tali algoritmi incorporano criteri predefiniti che rendono spesso inconsapevoli chi ne fa utilizzo. Dal momento che la rete non permette di valutare l’attendibilità delle news, è opportuno disporre di fonti autorevoli. Serve offrire adeguata formazione a cittadini che sappiano approcciare alla professione indagando la realtà, nella quale il web è da intendersi parte integrante.
Dall’inviato Riccardo Cerino