In questi giorni, la Federcalcio si è trasformata nel teatro di un altro conflitto, stavolta interno: Inter, Milan, Juventus e Roma si sono sfilate in modo inequivocabile dalla maggioranza di Lega, rappresentata dalle cosiddette “medio piccole” che hanno trovato nel patron laziale e in De Laurentiis dei punti di riferimento, compiendo almeno due gesti di rottura.
Gravina, come riportato dal corriere dello sport, ha preso atto delle posizioni di 4 squadre che rappresentano il 70% del fatturato del calcio di vertice (sono la locomotiva del sistema), ma ha suggerito loro di risolvere il problema internamente pur condividendo l’idea che i calendari sempre più affollati porteranno per forza di cose a una riflessione concreta sul tema.
La Serie A non vuole scendere dalle 20 squadre attuali poiché le piccole temono che la riduzione faccia alzare le possibilità di retrocessione in caso di annata disgraziata, e così le quattro sono uscite dal guscio.
«Il loro errore è stato accettare passivamente che altri prendessero il potere, rinunciando a quella che dovrebbe essere una leadership naturale» ci ha fatto notare un dirigente di spicco di una squadra nella parte destra della classifica.
Le divergenze politiche sono evidenti, ma ci sono anche contenuti non condivisi in toto o in parte come l’autonomia dalla Figc. Juve, Inter, Milan e Roma credono che la A debba contare di più in federazione (oggi vale solo il 12%) ma non sono così convinte che la guerra a Gravina sia la strada migliore; in un momento di difficoltà, con il governo che sta entrando nei conti dei club tramite un’agenzia di vigilanza, più di qualcuno sostiene sia necessario rivedere le posizioni oltranziste.
Lunedì, durante la riunione informale sull’agenzia, alcuni avrebbero chiesto a Casini di non presentarsi al successivo vertice del pomeriggio in Federcalcio, così da dare l’ennesimo segnale di rottura. Le 4 big, viceversa, hanno suggerito un atteggiamento conciliante. Alla fine Casini si è presentato e nel comunicato di Lega si è parlato di «contrarietà all’unanimità» sull’agenzia, ribadendo però «la necessità di procedere verso una piena autonomia». Senza questo compromesso dialettico – che a dir la verità ha scontentato sia i falchi sia le colombe – la A non sarebbe mai uscita dalla riunione con una posizione unica.