Italia, senso di coppa. Sei squadre in Champions, fino a 9 o 10 nei tre tornei oppure i classici sette posti

SCENARI. La finale di Coppa Italia (15 maggio a Roma) tra Allegri e Gasperini ha chiuso una porta alla Fiorentina, ora costretta a rimontare in Serie A oppure a conquistare la Conference il 29 maggio ad Atene per giocare di giovedì – e a un livello più alto – anche nel ‘24-25. Senza trionfi europei il nostro campionato emetterebbe questo verdetto: le prime cinque in Champions grazie al posto in più garantito dal ranking federazioni, la sesta in Europa League insieme alla vincitrice della coppa nazionale oppure alla settima, se Juve o Atalanta avessero (come probabile) già un posto per una delle prime due competizioni. E poi c’è l’ottava, di diritto in Conference. Ed è qui la vera svolta, perché dodici mesi fa era il 7° posto ad accogliere nella terza competizione Uefa (si qualificò la Juve, poi squalificata) mentre oggi quello stesso piazzamento spalanca le porte di un’Europa League invitante sia per il nuovo format (uguale alla Champions) sia perché cresceranno pure qui premi e ricavi; d’ora in avanti, tra l’altro, smetteranno di retrocedere i cosiddetti “squali” del piano superiore, con possibilità più alte di arrivare a dama.
Guardando la classifica attuale, in Conference andrebbe il Napoli, che pur nel disastro di questa stagione potrebbe arrivare a 15 anni consecutivi in Europa. La stessa Fiorentina non è poi così distante dagli azzurri: sotto di due punti, ma con una gara da recuperare contro l’Atalanta, la squadra di Italiano può ancora rialzarsi con un colpo di coda. I 5 punti che la dividono dalla Lazio, oggi in Euroleague, rappresentano comunque una strada in salita rendendo forse più agevole il percorso della Conference stessa: in tre partite al massimo, Biraghi e compagni potrebbero raggiungere lo stesso identico obiettivo e portare a casa un trofeo. Occhio alla risalita dei biancocelesti: sulla carta hanno già affrontato gli inferi del calendario e chiuderanno la stagione contro Verona, Monza, Empoli, Inter già campione e Sassuolo.

 

LA CODA. Torino e Monza non sono ancora tagliate fuori, ma hanno bisogno di un’accelerata. Juric e Palladino sognano il guizzo prima dei saluti. Così come, ai piani alti, Milan e Juve sono a un passo dal chiudere la pratica SuperChampions: la matematica vede i rossoneri a 4 punti dal traguardo, ma un pareggio nello scontro diretto di domenica potrebbe già essere decisivo. Con la vittoria dell’Olimpico il Bologna ha forse messo le ali, e si appresta a spiccare il volo pure la Roma grazie al colpaccio di Udine maturato nei 20’ di ieri. La classifica dice: rossoblù quarti a 62, giallorossi quinti a 58. Anche se l’Atalanta, a -4 da Lukaku e soci ma potenzialmente a -1 in caso di successo nel recupero con la Fiorentina, resta incollata al treno dei desideri e secondo le previsioni di Opta ha il 65,3% di qualificarsi in Champions contro il modesto 36,6% della Roma. De Rossi ha il calendario probabilmente peggiore: gli restano Napoli, Juve, Atalanta, Genoa ed Empoli. Motta non se la passa tanto meglio: per lui Udinese, Torino, Napoli, Juve e Genoa. Il calcio italiano potrebbe avere 6 squadre in Champions se DDR o Gasp trionfassero a Dublino il 22 maggio e poi lasciassero al collega la 5ª piazza arrivando al 6° o al 7° posto; a quel punto porteremmo una sola squadra in Europa League e un’altra in Conference. Questo ragionamento è valido al netto del potenziale exploit della Viola, dalla quale dipendono le chance di salire a 9 pass per l’Europa con quasi il 50% delle formazioni di A impegnate nelle gare infrasettimanali. Il fascino di questo scenario così lussureggiante che potremmo quasi chiamare “Italian League” è però solo la faccia di una medaglia. L’altra prefigura un campionato spaccato a metà tra ricchi e poveri, tra élite e classe operaia, tra chi guarda sempre di più all’Europa come habitat e chi rivendica il peso dei tornei nazionali; ad allargare la forbice sarebbe proprio il denaro dell’Uefa, che a forza di contrastare la Superlega ha finito per crearne una propria sbandierando valori come l’equa competizione e la meritocrazia.  Fonte: CdS

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