Certo, non si può pestare a sangue un avversario e pretendere di non andare incontro a qualche rischio alle mani…! Stiamo parlando, infatti, della frattura del pugile, che corrisponde alla frattura sottocapitale del quinto metacarpo (in altri termini, la mano). Il nome deriva dal fatto che classicamente è associata alla pratica del pugilato ( o più spesso a semplici pugni sferrati contro superfici rigide…)
Come si pone la diagnosi? La diagnosi è clinica, con un’ulteriore conferma radiologica. Se non scomposta, la frattura può essere curata con un’ immobilizzazione per 4 settimane su un tutore termoformato. Per fratture poco o mediamente scomposte, con l’angolo di scomposizione inferiore a 70°, non vi sono ad oggi evidenze che la chirurgia sia superiore all’immobilizzazione. Una frattura scomposta, con angolo superiore a 70°, necessita un intervento chirurgico, il quale si svolge con un’anestesia parziale.
Tramite un’incisione di pochi cm alla base del polso, il chirurgo introduce nell’osso alcuni fili metallici che riposizionano, in parte per effetto elastico interno, la testa del metacarpo. Dopo l’intervento viene applicato un tutore. La ripresa delle attività professionali e sportive va concordata con il chirurgo tenendo conto del tipo di professione, del tipo di sport e del tipo di frattura.
Se non siete pugili, la prossima volta, prima di arrabbiarvi sul serio, pensateci bene. O contattate un ortopedico!
Il gomito del tennista
Il gomito del tennista è un’infiammazione dei tendini estensori delle dita e del polso a livello dell’epicondilo (una sporgenza ossea del gomito) e, a dispetto del nome, non colpisce solo chi gioca a tennis. Si tratta di un disturbo frequente soprattutto fra i 35 e i 55 anni, che è bene non trascurare per evitare che diventi cronico. Esiste qualche rimedio da effettuare soprattutto nella fase acuta, come mettere ghiaccio sul gomito, applicare localmente creme a base di antinfiammatori e tenere a riposo il braccio per un paio di settimane. Se il disturbo permane o tende a ripresentarsi, si può ricorrere a terapie fisiche come ultrasuoni od onde d’urto focalizzate, nonché all’infiltrazione locale con steroidi (cortisone). In alcuni centri, nei casi più ostinati, si ricorre anche ai cosiddetti concentrati piastrinici, sulla cui validità non c’è però ancora consenso unanime. Un programma di riabilitazione mirato, infine, può aiutare a ridurre il rischio che il problema si cronicizzi. Il ricorso alla chirurgia è riservato in genere ai casi in cui ci siano danni rilevanti alle strutture del gomito che non rispondono alle altre terapie.
A cura di Simone Di Maro