Un viaggio a Napoli vuol dire un viaggio tra i murales. Sembra che anche i turisti che affollano il capoluogo partenopeo se ne rendano sempre più conto. Da quello di Maradona, ai Quartieri Spagnoli, al vicolo della cultura, ai grandi della musica e del teatro. Ma oggi, giorno in cui si festeggia la Santa Pasqua, non si può non fare riferimento al murales “simbolo” della religiosità del popolo napoletano. San Gennaro, patrono di Napoli, il santo della città. Si trova a pochi metri dal Duomo, a pochi passi dal suo tesoro, secondo solo a quello della Corona Inglese per valore, nel cuore pulsante del centro storico, Forcella. Alto più di 15 metri, nato dalla mano dell’artista Jorit, a cui si devono molti dei murales di Napoli, si erge il viso di quello che spesso viene definito faccia gialla dai napoletani, ad esprimere il rapporto quasi confidenziale del popolo verso il suo santo. I lineamenti di “un uomo comune”, normale. Lo sguardo assorto, verso l’alto, naturale, profondo, quasi a voler rivolgere al cielo l’ennesima preghiera per la sua gente. Napoli e San Gennaro, un legame che regge al tempo e alla sua usura, un legame che si rafforza con il sangue, quello di un miracolo che tra fede, tradizione e superstizione, si ripete negli anni, per tre volte all’ anno. San Gennaro, un sangue santo, che protegge e libera. Peste, colera, terremoti, eruzioni del Vesuvio, le sue mani ed il suo sangue hanno “fermato” tutto ciò. Lui, pur non essendo napoletano per nascita, lo è diventato per volere dei napoletani. Si può credere o meno, ma non si può fare riferimento a Napoli senza San Gennaro. Due facce della stessa medaglia, un patto secolare. Un viso da inserire nel viaggio alla scoperta della città
Ludovica Raja