Sicuramente non sarà stato facile ingoiare una delusione così grande per Juan Jesus, e chissà quante cose gli saranno passate per la testa quando ha appreso la notizia dell‘assoluzione di Acerbi, ma la sua reazione è stata silenziosa e significativa, come sottolinea il Corriere dello Sport. “Il pugno di Juan Jesus è la storia, le parole del Napoli sono l’attualità. Insieme, ieri, il giocatore e il suo club sembravano Muhammad Ali, straordinario pugile e oratore che ai suoi tempi ha fatto spesso a cazzotti con il razzismo: bersaglio unico – la sentenza del caso Acerbi -, reazioni diverse.
Quella di Juan, difensore brasiliano di 32 anni che ai tempi della Roma regalò in segno di pace (e di lezione di vita) la sua maglia a un tifoso che lo aveva riempito di insulti razzisti, è stata silenziosa: non ha sputato veleno ma ha sostituito l’immagine del profilo Instagram con quella del suo pugno chiuso alzato verso un cielo – forse non a caso – bianco e nero come la foto. L’evoluzione social del Black Power Movement e della protesta dei velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos ai Giochi olimpici di Città del Messico 1968: i due atleti, rispettivamente medaglia d’oro e di bronzo dei 200 metri, alzarono sul podio il pugno chiuso avvolto in un guanto nero in segno di protesta contro il razzismo, rievocando le lotte del Black Power contro le discriminazioni subite dagli afroamericani.
Juan, l’uomo che aveva rivelato la sua verità durante e dopo Inter-Napoli, ha saputo della decisione del giudice sportivo intorno alle 16.30: non è stato avvertito mentre era al lavoro con la squadra al centro sportivo di Castel Volturno – a differenza di Acerbi, ieri assente alla Pinetina -, ma ha scoperto tutto alla fine. E dopo aver ingoiato la delusione e ogni tipo di sentimento che resterà soltanto suo, ha reagito rievocando un totem del Movimento di liberazione nera che negli Anni 60 fu influenzato anche dalla critica di Malcolm X e dalla protesta pacifica di Martin Luther King. Juan Jesus valuta se proseguire la battaglia in altre sedi a tutela della propria immagine, studia, riflette, ma per il momento ha scelto la storia di un popolo per urlare la sua indignazione con la bocca chiusa: 56 anni dopo l’Olimpiade messicana, il mondo è ancora tristemente fermo a discutere di questioni legate al colore della pelle”.