Il nuovo format della SSCN: la parola a capitan Di Lorenzo

Un capitano a cuore aperto. Giovanni Di Lorenzo si racconta senza filtri e lo fa alla guida di un’auto.  Il nuovo format del Napoli si chiama Drive&Talk: una chiacchierata mentre si dirige centro di allenamento  Castelvolturno. L’intervista integrale da Il Mattino:

«Sveglia presto, porto Azzurra a scuola e poi vado diretto al campo di allenamento, a Castelvolturno, che è di strada. A casa ci siamo pochissimo per ritiri, partite etc, quindi quando ci sono cerco di stare coi miei figli per giocare, anche se ti portano via tante energie. È tosta stargli dietro e lì capisci anche la mamma che lavoro fa perché è lei che sta con loro tutto il giorno, sono fortissime».

Di Lorenzo racconta di quando è diventato capitano del Napoli: «Questa fascia l’ha portata il più grande di tutti, è una responsabilità in più. Il ruolo di capitano è bello, non me lo sarei mai aspettato quando sono arrivato. Poi quell’anno lì ci sono state tante partenze, tanti sono andati via, Spalletti decise di darla a me e ho cercato da subito di rappresentare al meglio i miei compagni, lo spogliatoio e quello che sto cercando di fare anche adesso. Non hai pensieri ma devi essere pronto a tutto, devi gestire tante cose, però mi piace e spero che i miei compagni siano contenti di me, penso di sì e quando Spalletti mi ha fatto capitano la cosa più bella è stata l’approvazione dei ragazzi e anche di chi era da più tempo qui, vuol dire che mi stimano come persona».

«Critiche? Prima le vivevo con difficoltà, ora no. Ormai c’è gente che fa quello apposta e se stai lì a leggere cosa scrivono non leggi più. C’è chi lo fa solo per prendersi tre minuti di visibilità per questo leggo poco e sono tranquillo. Le critiche ci stanno e uno deve essere bravo ad andare avanti perché questo è uno sport che ti porta tante pressioni e devi essere pronto a tutto. Quello che sta diventando brutto è che dopo una partita fatta male ti offendono la famiglia e i figli, lì si va oltre rispetto alla classica critica costruttiva del tifoso. Non è giusto, perché se uno sbaglia una partita devi augurargli le cose peggiori del mondo?»

«Mi rivedo in Sinner, come lui ho avuto genitori che non mi hanno mai fatto pressione, come è successo a lui. Sono stato fortunato a poter prendere autonomamente certe decisioni. Spesso la rovina di un ragazzo anche bravo sono i genitori che vogliono decidere per lui e mettono pressione».

«Sono contento della mia gavetta, mi ha fatto crescere come calciatore e persona. L’ultimo giorno di mercato sono andato dal Matera all’Empoli e avevo 25 anni, ero già oltre come età per un calciatore. Poi abbiamo vinto il campionato e sono andato in A e poi dopo è arrivato il Napoli. Se non fossi andato ad Empoli magari non avrei vissuto quello che ho vissuto».

«Fantacalcio tra i calciatori? Si fa. L’ho fatto anni fa con un mio amico che faceva tutto lui. A me piaceva fare solo l’asta mentre lui faceva l’allenatore e la formazione. E ovviamente mi sono preso. All’asta metto le mani avanti, lo faccio coi miei amici ma mi prendo. Mi fanno pagare tanto. Ma almeno mi prendo e mi posso schierare».

 

 

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