Pensano e dunque sono: perché adesso, in questo labirinto dal quale bisognerà pur uscire, serviranno certezze che aiutino a scorgere una luce. Ventidue minuti (ventisei con il recupero) per «esistere», per sorvolare ogni equivoco, per illuminare un orizzonte e riempirlo dei loro slanci, delle posture, di quel senso di ribellione verso la diffidenza: quando Hamed Junior Traore e Jesper Lindstrom sono entrati in campo, al «Maradona», Napoli-Barcellona era ancora avvolta dentro una specie di nube tossica, la sintesi di un’annata disagevole e pure disgraziata, condita da errori ingigantiti dal campo, e però… In quel tempo così impalpabile, in quel bignami d’una partita, Traore ha potuto ribadire ciò che di lui era noto, e che poi la malaria e l’inattività aveva soffocato, e Lindstrom altrettanto, perché pure del danesino se ne conoscevano la virtù, forse intrepretare un po’ liberamente.
SPERIMENTARE. Traore è varie cose, chiedere a De Zerbi per averne conferma, e Calzona ha scelto il lato storicamente più radicato nell’ivoriano: interno di centrocampo, il terzo di sinistra, l’omologo di Zielinski, perché – cit. De Laurentiis – per verificare se varrà la pena di riscattarlo (a venticinque milioni di euro), bisogna «sperimentare». La sua stagione comincia adesso e restano quindici partite – Barcellona inclusa – per decidere cosa fare di sé.
RIVALUTARE. Lindstrom è rimasto confinato in equivoco («aggravato» dai venticinque milioni investiti per acquistarlo) che forse è stato chiarito, perché l’esterno di Francoforte (nel centrocampo a cinque) in realtà gradisce orientarsi pure altrove, semmai a sinistra, per inventarsi vice-Kvara, o dentro al campo, da trequartista. E comunque, da quella bolla, Lindstrom è uscito, con il Verona ci ha pensato lui a sterzare, a metterla nel mucchio, a conquistare l’1-1 indispensabile per avviare la rimonta; e con il Barça, giornata ancora più dura, ci ha messo del suo per rendere verticale il Napoli, per abbellirlo, assieme a Traore. Perché due sono meglio di uno.
Fonte e grafico: CdS