Se domenica, dopo la vittoria in rimonta sul Verona, fosse scattata la decisione di De Laurentiis di non far parlare Mazzarri a caldo, i tifosi del Napoli si sarebbero persi la gioia dell’allenatore per aver visto positivi segnali in quel successo, il secondo di fila al Maradona. Piccole soddisfazioni – non si trascuri il peso dei gialloblù, in lotta per la salvezza – che Walter meritava di raccontare alla sua gente perché Napoli, cioè quel periodo vissuto dal 2009 al 2013, ha rappresentato la migliore fase della sua carriera.
Mazzarri rivede in questo Napoli, che di quello dello scudetto ha ormai ben poco, qualcosa del suo ormai lontano. Il sacro fuoco che anima i giocatori, l’umiltà che li ha spinti nella partita contro il Verona a lanciarsi all’attacco sullo 0-1, il cauto atteggiamento visto nella trasferta sul campo della Lazio, dove c’erano troppi indisponibili (otto) per poter aspirare a qualcosa in più di un pareggio. E poi ci sono gli artisti del calcio. Nel suo Napoli c’erano Lavezzi, Cavani e Hamsik; in questo Lobotka e Kvara, aspettando il ritorno di Osimhen dalla Coppa d’Africa. Adesso Walter non vede l’ora di tornare al Meazza, dove visse una breve e sofferta stagione da tecnico dell’Inter, per affrontare il Milan e Pioli, che quando era su altre panchine (Chievo e Bologna) spesso regalò amarezze al suo Napoli. Nella Scala del calcio si è vista domenica la grande partita tra Inter e Juve, squadre di un’altra dimensione rispetto a quella attuale del Napoli. Gli azzurri e Mazzarri non ci staranno a interpretare il brutto ruolo di vittima sacrificale: su quelle maglie c’è ancora lo scudetto.