Ci si può sentire anche un nodo nella gola o un buco nello stomaco… 355 partite, spalmate in 8 anni, addobbate con 50 gol e 46 assist restano adesso lì, in quel labirinto ch’è la memoria, per trasformarsi in giacimento dei ricordi di cosa sia stato Piotr Zielinski, il suo calcio elegante e raffinato, le movenze di un étoile a ritmare il tempo che gli è appartenuto: il principe azzurro è stato (anche) lui, con lo sguardo morbido d’un eterno bambino, che ora sta lì, dinnanzi all’uscio della Champions a scorgere il buio. Niente è per sempre e il Napoli e Zielinski sono ormai separati in casa: resterà il campionato, ciò che avanza di questa separazione netta e anche un po’ traumatica, poi ci si lancerà ognuno nel proprio destino, forse senza neppure un saluto. La sua Europa è un pallido rigurgito, il Barcellona gli è stato negato, lo guarderà dalla tribuna e, al ritorno, dalla poltrona di casa, perché al Napoli non è possibile divorziare come pure è successo altrove: la pec inviata dall’Inter – che ufficializza ciò ch’è lecito: aprire una trattativa (di fatto chiusa da tempo) – ha rappresentato l’ultimo chiavistello per sbattere il portone in faccia al fine dicitore e lasciarlo ai margini di questa Champions. La Napoli di Zielinski si racchiuderà nelle diciassette partite che restano – e forse saranno sedici, perché con il Verona sarà difficile esserci per colpa di un affaticamento che è semplice configurare di “maniera” – e però quel vissuto che va dal 4 agosto del 2016 al 2 febbraio del 2023 è patrimonio personale suo e di uno stadio che in lui s’è rivisto, coccolandoselo nella buona e nella cattiva veronica, in quelle accelerazioni mai fisiche eppure possenti e accattivanti, nella genialità spruzzata a corredo di una “scherma” calcistica talmente sontuosa da non consentire al più meticoloso osservatore di capire quale fosse il suo piede preferito. Fonte: CdS