Lazio e Napoli a porte chiuse! Quasi mai centrata la porta. Così brutta che più brutta non si può

Il Napoli un pensiero ce l’ha avuto, difendersi e difendersi e difendersi
Questa è la cronaca di una partita di (anti)calcio così brutta che più brutta non si può. Questi 90 minuti costituiscono l’impietosa rappresentazione dell’involuzione di massa della Lazio e del Napoli, d’una domenica in cui incrociandosi – così per caso – i campioni d’Italia e i loro vice hanno dimostrato come sia passato veloce il tempo e come i rispettivi miracoli della passata stagione, quello di Spalletti che vale la Storia e quello di Sarri che ha un suo peso, siano stati adagiati dentro un pomeriggio triste.
Questo è uno 0-0 (apparentemente) senza futuro, nonostante la Champions League si intraveda (e non sia neppure distante) perché sta dentro un’ora e mezza che sa di niente – non di tecnica, non di tattica – e che viene raccontato dalle inesorabili statistiche: il primo e unico tiro (?) in porta arriva al 75′, dopo un’ora e un quarto quasi strazianti.

 

 
EH, SI’, PERO’. E comunque ci sarà sempre un alibi buono che varrà per uscire da questa nuvola di nebbia che soffoca Lazio-Napoli: i tre assenti per Sarri (Immobile, Zaccagni e Patric), i nove – e sono un’enormità – per Mazzarri, sintetizzano le umanissime difficoltà di entrambe ma un’idea, pure una sola, si può scovare perfino nell’emergenza più inquietante.

 

A NOIA. Lazio e Napoli non riescono a farsi del male, non ne hanno, non ne trovano, non c’è niente che – stilisticamente – riconduca in una partita, vibrante soltanto sulla rovesciata di Castellanos (1′ st), gol della vita annullato giustamente per fuorigioco. Ma ciò che vale, cioè il resto, è noiosamente anestetizzante, è titic-titoc della Lazio che va a sbattere contro il catenaccio del Napoli, tutti dietro e buona fortuna a Raspadori e Politano, abbandonati al loro destino malinconico. Senza l’autorevolezza degli esterni difensivi, senza l’intraprendenza di quelli offensivi, Sarri non ha potuto neanche imprecare alla luna: ha osservato, pensieroso, e ha capito che portare i centrocampisti oltre le linee avrebbe rappresentato un pericolo gratuito. Il 3-0 di Riyad con l’Inter ha lasciato effetti controproducenti e Mazzarri, con quelli che aveva, ha riempito la propria trequarti, per far passare la nottata.

ALMENO LORO. È in quel deserto che Lazio e Napoli s’accorgono della loro precarietà attuale, delle difficoltà d’essere vivi che appartiene, e meno male, ad Isaksen e ad un Lobotka travolgente nella sua volontà di sfuggire al copione, per tentare di stracciarlo.

Ma Lazio-Napoli è teoria, neanche intenzioni, è un desiderio limpido in Sarri di evitare ripartenze eventualmente letali ed è poi la voglia matta di non scoprirsi neanche un lembo di spalla di Mazzarri, nove uomini sotto la linea del pallone e gabbie ovunque, facendo densità, strappando riferimenti.

La Lazio è plasticamente inespressiva, non ha le profondità e rimane in un palleggio orizzontale che Cataldi fatica a sviluppare, che Luis Alberto non fa impennare e comunque, come raccontano i numeri, almeno non soffre; e il Napoli ha muscoli, centimetri e in scioltezza contiene persino la paura.

DIFESA. Il Napoli un pensiero ce l’ha avuto, difendersi e difendersi e difendersi, standosene accovacciato intorno ai suoi tre energici difensori, lasciandosi accarezzare da un Lobotka illuminato, tenendo il pallone (vero: 60%) ma concedendo a Provedel la possibilità di non sporcarsi la maglia, né di sudarla… Ma sarà stato un atto di umiltà, suggerito dalle circostanze, dalla lontananza di Osimhen e di Anguissa, di Kvara e di Olivera, perché gli assenti hanno sempre ragione. Pure quelli di Sarri.

 

A cura di Antonio Giordano (CdS)

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