C ’era, la classe di Pellegrini. Acquattata sotto gli infortuni, il gossip, la depressione, che è il lato oscuro di ogni talento. C’era ed è venuta fuori in una torsione del corpo e dello spirito, come l’eruttazione di un vulcano. Il gol del capitano giallorosso buca la tela del Napoli con un taglio che diventa strappo, e uno strappo che diventa squarcio, e poi continuando fino allo sbrindellamento di ogni connessione tecnica, tattica, mentale. Con l’effetto che la lava giallorossa dilaga nell’Olimpico festante, e il Napoli guarda attonito quanto grande e quanto vuoto è il suo cratere.
È un punto di svolta stagionale. Da cui la Roma esce rafforzata nel suo statuto di squadra fisicamente granitica, agonisticamente appassionata, tatticamente furbissima, come il suo guru portoghese. E il Napoli esce a pezzi. Nella testa prima che nelle gambe. Perché si può anche fare il 68 per cento di possesso palla senza mai tirare in porta. Con la Roma ci sta. Si può palleggiare ora a destra ora a sinistra, andando avanti e indietro senza pungere, come in un ballo di dervisci. Si può
Il successo della Roma mostra invece quanto poliforme, elastica, resiliente sia la creta con cui il burattinaio Mourinho ha plasmato i suoi Pinocchi, facendone un gruppo intelligente, capace di adattarsi all’assenza del suo genio Dybala, e di ripiegare su una gara di contenimento e di rottura, senza rinunciare a nessuna delle ambizioni che fanno della Roma una squadra di vertice. Nella loro versione preferita di guastatori del gioco altrui, i giallorossi stanno sotto assedio senza paura, spezzano ogni affondo di Osimhen e compagni negli ultimi trenta metri, bucano il pressing asfittico di Mazzarri tutte le volte che vogliono e pungono in contropiede, meritando già nel primo tempo di passare con Bove. La giornata di grazia di Meret rinvia i progetti di Mourinho, ma non toglie ai suoi serenità, né fiato. Del resto, è il Napoli che si danna, cercando improbabili penetrazioni.
C’è da riflettere su entrambi i fronti dopo questa gara. La Roma deve farlo ai suoi vertici, perché non capita ovunque di stare in corsa con una squadra così e così, attraversando crisi, squalifiche e infortuni senza smarrirsi mai. Quale altro condottiero farebbe di Kristensen e Bove due soldati modello?
Anche il Napoli deve guardare nella sua cerchia di responsabilità. C’è uno scollamento profondo che va ricucito, non solo sul campo. La firma sul contratto di Osimhen è un segnale. Forse sul breve non privo di effetti collaterali, come irritazioni, gelosie, rinunce. Bisogna ricucire, pezzo pezzo, tutta la tela. Con umiltà e coerenza. E qui si vedrà di che pasta è fatta l’arte del comando. Fonte: CdS