Tra rinnovo, coppa d’Africa e campionato: Osimhen prova a rialzare il Napoli

Victor Osimhen conosce bene quella sensazione di sconforto che ti piega le gambe. Quando arrivò al Napoli, tre anni fa, si presentò raccontando la sua vita. Parlava di un’infanzia che definire difficile sarebbe un banale eufemismo: la morte della madre, la povertà, la realtà disumana di un bambino lavoratore. «È un luogo in cui non c’è speranza, lottavo per sopravvivere», disse a proposito dei suoi primi anni trascorsi a vendere acqua per le strade di Lagos.

Forse è anche per questo che, durante i momenti critici, è il primo a cui ci si rivolge. La sofferenza, la voglia di riscatto, l’entusiasmo di chi ce l’ha fatta sono tutte emozioni che ha provato e che ha imparato a padroneggiare nel corso del tempo. Questa è una delle situazioni in cui deve fare appello a quella parte interiore, per guidare la squadra verso una risalita che non può più attendere.

Nemmeno lui s’è salvato, nella disfatta totale di Coppa Italia, che ha riaperto in una notte tutte le cicatrici di inizio stagione. Contro il Cagliari è stato decisivo: un gol e un assist nel 2-1 che sembrava aver rilanciato il Napoli. Era la seconda vittoria consecutiva, per giunta al Maradona, dove gli ostacoli sono sempre sembrati più insormontabili in questi mesi. Il Frosinone doveva essere la vittima del delitto perfetto: un avversario alla portata, per assorbire l’entusiasmo della continuità e dell’avanzamento nella competizione.

Un contesto così caro all’ambiente, soprattutto alla generazione attuale che ha potuto festeggiare un titolo per la prima volta proprio sollevando quella coppa, con Mazzarri in panchina. La realtà è molto diversa adesso, nel bene e nel male. La stoffa del leader non s’è vista, martedì scorso, e il suo contributo non è minimamente bastato a evitare l’imprevedibile.

Nella passata stagione, la Roma è stata un partner perfetto per le sue prodezze, tra andata e ritorno. All’Olimpico segnò da un angolo impossibile, dopo aver vinto un duello fisico con Smalling; a Fuorigrotta unì eleganza e potenza in un’altra conclusione al volo. Nessuno gli chiede ricami articolati, ma un contributo tangibile è preteso. L’impressione, essendo il capocannoniere in carica, è che tutto debba cominciare da lui. Il nigeriano è tenuto a dare l’impulso che rianimi un collettivo smarrito, disorientato nella ricerca di una causa e disperato nel tentativo di uscire dalle sabbie mobili. Il ramo a cui aggrapparsi è rappresentato dalla partita di oggi, fondamentale per morale e classifica.

Di fronte troverà Romelu Lukaku, uno degli interpreti più dominanti degli ultimi anni in Serie A, che ha saputo far grande l’Inter e un po’ faticosamente ci sta provando anche con i giallorossi. Non che abbia qualcosa da dimostrare, anzi. Entrambi sono a 7 gol segnati in campionato finora, e non è un caso che le loro annate più prolifiche abbiano generato uno scudetto. Possenti, fisicamente impareggiabili, accomunati da tecnica e coordinazione non comune per chi ha una struttura come la loro. È il duello individuale più interessante dell’incontro, seppur a distanza.

Osimhen è necessario, inutile girarci intorno. E finché sarà arruolabile, il Napoli non ne può prescindere. È un discorso che vale per il breve e il lungo termine. Presto, infatti, dovrà rispondere alla convocazione della Nigeria per la Coppa d’Africa, che potrebbe tenerlo lontano dall’Italia anche per un mese e più. Il tutto mentre le trattative per il rinnovo di contratto procedono, anche se lentamente. De Laurentiis ha rassicurato i napoletani, il nuovo accordo si farà.

Parole recepite con cautela, considerando che i discorsi vanno avanti dall’estate, tra mille tribolazioni. Inoltre, prolungare con termini migliori non vuol dire legarsi per la durata del vincolo. La vicenda Cavani è ancora ben impressa: adeguamento economico e cessione a fine campionato. L’allenatore, tra l’altro, era anche lo stesso di allora.

 

Fonte: Gazzetta dello Sport

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