Visto che (forse) non c’era niente altro da inventarsi, Claudio Ranieri ad un certo punto decise di andare oltre e scrivere la Storia: e però prima, proprio tanto tempo fa, che Leicester diventasse il riferimento non solo contemporaneo del football, c’è stato un altro Ranieri, praticamente lo stesso, che guardando dal buco della serratura si proiettò nel proprio futuro. Questa è una vita – la seconda di Ranieri – che comincia da lontano, sistema le radici nell’umile praticantato che Sua Maestà, il Sir, attraversa a Pozzuoli, in quella serie C che sa essere tormento e però anche estasi, e che però sviluppa i sensi, li allena, spinge ad orientarsi e però pure ad esprimersi attraverso un linguaggio proprio che senza ignorare il vissuto da calciatore lo rimodella e lo perfeziona. Claudio Ranieri è già un galantuomo (signori si nasce, direbbe Totò), e quella cifra stilistica che gli appartiene stordisce Carmine Longo, lo trascina a Cagliari e poi, di slancio, appena tre anni dopo – mettendoci il triplo salto carpiato dalla serie C alla serie A, con inclusa la salvezza – lo lascia accomodare al San Paolo, che sta due passi più in là dal vecchio «Domenico Conte» in cui Ranieri con il Campania Puteolana s’era fatto largo.
BREVE MA INTENSO. E’ il primo anno dopo Maradona, c’è quel senso di dolore diffuso che disorienta e svuota, un malessere collettivo che soffoca: è un trauma che s’avverte nell’atmosfera e pure nelle (prime) crepe del bilancio d’una società che ha dato fondo al proprio potere economico però è un’esperienza da regalarsi, ci
Claudio Ranieri irrompe con l’autorevolezza che sta sotto la propria scorza del gentleman, finisce immediatamente quarto in classifica, va in Uefa (allora la Coppa dei Campioni è di chi vince), rimane, si gode la straordinaria «mattanza» del Mestalla di Valencia con l’1-5 infiocchettato con la personale manita di Fonseca e poi viene travolto dalla contro-crisi esistenziale, dal Psg e dalle dinamiche che rientrano nelle fasi buie del calcio.
Ma nei luoghi della memoria, Pozzuoli e Napoli sono fotogrammi vivi, che non ingialliscono mai, il tragitto creativo d’un romanzo che non solo è Leicester.
«Perché quella è una città meravigliosa, con tifosi incredibili. Ho ancora tantissimi amici lì e posso parlare soltanto bene dei napoletani».
CARISSIMO NEMICO. Trentuno anni dopo, Napoli ricompare, ancora e di nuovo, ed è un dolce zigzagare negli higlights d’una carriera deliziosamente possente che brilla pure d’un precedente luminoso: 19 settembre del 1990, nel San Paolo che sa ancora del secondo scudetto c’è il Cagliari matricola, è Davide contro Golia. «E io me la ricordo bene quella partita, loro avevano lo scudetto sulle magliette… Ci attacchiamo a tutto». E De Laurentiis, il padre ma anche suo figlio Luigi, faranno le stesse cose, semmai gli scongiuri o qualche «rito», perché trentuno anni o sei mesi a volte si somigliano, e l’11 giugno, al «San Nicola», quando ormai pareva fatta, a due minuti e quaranta secondi dalla fine, il Cagliari frantumò il sogno del Bari. Sotto la faccia d’angelo si nasconde, a volte, un amabilissimo diavolo.
Fonte: CdS