Clamoroso – Dove avvenne l’incidente sulla neve di Schumacher non si doveva sciare. Poi scelto Ospedale sbagliato. I dettagli

In un podcast la nuova tesi a dieci anni dall’incidente del campione «Lì non si doveva sciare e venne portato nell’ospedale sbagliato»

Che se ne sarebbe parlato era del tutto prevedibile.

Avvicinandosi al decennale della tragedia era scontato. Il 29 dicembre saranno dieci anni dall’incidente di Meribel. Dieci anni senza Michael Schumacher nel paddock, nei commenti, nella vita pubblica, nelle notizie. Ma parlarne dovrebbe essere un modo per sperare, per tenerlo tra noi. Più che per recriminare. A meno che nell’incidente non ci sia ancora qualcosa di incompreso e irrisolto, come sostiene il giornalista tedesco Jens Gideon nell’inchiesta (contenuta nel suo podcast) ieri rimbalzata ovunque nel mondo. Due sono stati gli errori che secondo Gideon avrebbero aggravato le condizioni di Schumacher: la sua scelta di attraversare quel tratto di neve fresca tra rocce affioranti, e quella dei primi soccorritori che lo hanno portato nel piccolo ospedale di Moutiers, anziché in quello molto più attrezzato di Grenoble. Vediamo.

 

Il casco rotto

«Non c’erano le condizioni ideali per sciare nemmeno in pista», ha dichiarato a Gideon un maestro di sci di cui è riportato solo il nome, André. «Non c’era abbastanza neve». In ogni caso Schumacher è caduto in un tratto che sarebbe più corretto definire non-di-pista, piuttosto che di “fuori pista”. Un tratto largo una trentina di metri tra la pista blu “Biche” che corre blanda a monte e la rossa “Mauduit”, più ripida, alla sua sinistra. «Chi va lì – aveva detto alla Gazzetta un altro maestro, Richard Sorret – lo fa a proprio rischio». Ma la ragione c’era: una persona del gruppo di Schumacher e di suo figlio Mick era caduta e lui si era fermato per prestarle soccorso. Il Times aveva ipotizzato che il campione sfrecciasse tra i 60 e i 100 km. Eventualità subito smentita dalla sua portavoce Sabine Kehm. Perché per l’appunto ripartiva da fermo, e perché la neve in quel tratto era fresca, con rocce affioranti molto visibili. Forse non tutte. Di certo lui quel comprensorio lo conosceva: aveva una casa in zona. Piuttosto è da dire che in più punti le due piste sono unite da tratti di neve battuta. Ma una volta aiutato l’amico, dovendo trasferirsi sulla Mauduit, il modo più rapido era attraverso la neve fresca. Uno sci avrebbe cozzato contro una roccia non visibile, Schumacher sarebbe stato sbalzato e avrebbe battuto la testa su un altro sasso. Negli anni è stato scritto che una telecamera fissata sul casco avrebbe aggravato l’esito dell’urto. Il maestro André lo ha confermato a Gideon . «Il casco si è rotto», disse al tempo la Kehm. Alla Gendarmeria di Meribel il 1° gennaio 2013 un poliziotto rifiutò di mostrarlo alla Gazzetta.

 

Come Virenque

L’altro errore che il maestro di sci André ha denunciato riguarda la scelta dei soccorritori di trasportare Schumacher al piccolo ospedale di Moutiers. Alcune considerazioni vanno fatte. A Bourg Saint Maurice, sede della Gendarmerie di Haute Montagne da cui dipende l’elisoccorso di Courchevel, dissero alla Gazzetta: «Ci chiamano quando constatano la gravità dell’incidente». Gideon invece, sempre riprendendo il maestro di sci, riporta che i soccorritori «non si sarebbero resi conto della gravità perché Schumacher sembrava cosciente». In effetti Stephan Chabardes, il chirurgo che ha effettuato il primo intervento, aveva parlato di «stato di obnubilazione» del pilota. E’ poi da dire che in quei giorni Moutiers era tappezzata di striscioni di protesta perché l’ospedale era minacciato di essere ridimensionato. Ma è vero anche che l’11 agosto 2006 il ciclista Richard Virenque nel corso di una cicloturistica cadde a Meribel, i soccorritori, riscontrando un trauma cranico (per fortuna meno grave) lo portarono a Moutiers, per poi trasferirlo al Chu di Grenoble. Una trafila che forse a Schumacher poteva essere risparmiata, guadagnando minuti che a detta di Gideon e del maestro di sci potrebbero essere stati fatali per l’aggravamento di Schumacher. Resta che Patrick Quincy, della procura di Albertville, chiuse l’inchiesta senza riscontrare dolo.

 

A cura di Mario Salvini (Gazzetta)

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