Presenta i segni del tempo, nascosti a fatica dalle opere di restyling ma l’incedere delle stagioni è inesorabile. E’ il tempio del calcio partenopeo, la storia ha calpestato il suo terreno, nobilitandone il rango. Ha cambiato tanti nomi, fino a sceglierne uno che racchiudesse tutta l’essenza del calcio e del pallone.
Tutto ebbe inizio il 6 dicembre 1959, ben 64 anni fa, la sera di un Napoli-Juventus (per la cronaca, 2-1 per i partenopei), la sera dell’inizio di un racconto epico e glorioso, alternato a momenti nefasti come le invasioni di campo, le umiliazioni patite in alcune stagioni, rovinose cadute ma il tutto assorbito dalle risalite ardite, dalle giocate del Pibe de Oro, dalle reti di Sivori e Altafini, dalle parate di Zoff e Taglialatela, i lanci precisi di Krol, le punizioni di Zola e Andrè Cruz fino alla presidenza De Laurentiis che ha rilanciato ambizioni e pulito la storia dalla polvere.
Oggi si parla tanto di una sua completa ristrutturazione, il calcio moderno esige delle strutture adeguate ai ritmi e alle esigenze del nuovo millennio. Ancora non è dato sapere a chi verrà dato in concessione e se ciò accadrà, ma i tempi sono ampiamente maturi, occorre un intervento strutturale non più procrastinabile. Nel frattempo si potrà ancora sentire quell’attesa dove dove tante anime si fondono in 90 minuti di gioco, rispecchiando l’umore di un’intera città.
Il Maradona al pieno della passione, sembra più uno stadio sudamericano che europeo: passionale, veemente, una volta, molto di più colorato di bianco-azzurro ora presente anche sulle sedute (in un recente passato erano rosse), tumultuoso nelle esultanze tanto da far tremare i palazzi circostanti, famoso nel mondo anche per quell’urlo che nella prima notte di Champions uscì spontaneo, senza alcuna organizzazione preventiva, perché proveniva dall’anima. The “Champions” era il frutto di anni di attesa e il Villarreal capì che non era venuto in gita turistica.
Meglio di tutti, ci fu un giocatore Yayà Tourè, allora centrocampista del Manchester City, che sintetizzò cosa vuol dire il San Paolo, ora Maradona nell’immaginario collettivo e quando la passione raggiunge l’apice: “La mattina andammo a fare riscaldamento al San Paolo, Carlos (Tevez) mi parlava di questo stadio, ma io che ho giocato nel Barça mi dicevo, che sarà mai! Eppure quando misi piede su quel campo sentii un qualcosa di magico, di diverso. La sera quando ci fu l’inno della Champions, vedendo 80.000 persone fischiarci mi resi conto in che guaio ci eravamo messi! Qualche partita importante nella mia carriera l’ho giocata, ma quando sentii quell’urlo fu la prima volta che mi tremarono le gambe! Bene, fu li che mi resi conto che questa non e’ una solo squadra per loro, questo e’ un amore viscerale, come quello che c’è tra una madre ed un figlio! Fu l’unica volta che dopo aver perso rimasi in campo per godermi lo spettacolo!”.
Tanti auguri San Paolo, ops tanti auguri Maradona per i tuoi 64 anni.
Fonte intervista: Corriere del Mezzogiorno
A cura di Domenico Rusciano