Oltre i pensieri spettinati, quei rivoli della memoria che sfornano immagini di dieci anni fa («Osimhen è un ragazzo stupendo, mi ricorda Cavani»), c’è da risistemare la palla al centro, giocarsela, uscire da quel sentimentalismo ch’è un valore ma non fa classifica: «E quindi ricominciare a vincere. Non darò vantaggi a Gasperini, grande allenatore di una grande squadra». In più, l’uomo che gli inflisse una sconfitta record, il 25 gennaio 2020: Torino Atalanta 0-7. E poi, meglio evitare di imbattersi in parole che lusingano l’anima ma rischiano pure di scorticarla, perché intanto, dal momento in cui Mazzarri è uscito dalle panchine («un anno e mezzo fa, ma mettendomi a studiare»), il calcio è cambiato ed è rimasto eguale a se stesso: lo scudetto, ch’è il termine in grado di spostare le sensazioni ambientali, viene sussurrato una sola volta: «Vederlo sulle magliette, nello spezzone del film che uscirà e che De Laurentiis mi ha concesso di guardare, mi ha fatto venire i brividi». Ma in una viglia del genere, piena di amarcord e di orizzonti da definire, anche l’autostima ha bisogno della propria parte: «Qualche merito me lo prendo anche io: con me cominciò la scalata di un club che poi è sempre cresciuto. È una bella soddisfazione esserci, ringrazio De Laurentiis, avverto le responsabilità. Ma io sono nato per soffrire». E per mostrarsi diverso, mica solo nel 4-3-3 che verrà: «L’ho fatto, anche quando giocavo con la difesa a tre, a partita in corso, togliendo un difensore e aggiungendo un centrocampista. E a chi mi dice che sono bollito, non rispondo. Anzi, sa che rispondo: che il bollito, se buono, va mangiato». Un altro giro di Walter. Fonte: CdS