Mimmo Carratelli: “Il disperato Diego che piaceva al Barba”

Il Pibe non sarebbe stato il Pibe senza la sua vita drammatica Ha lasciato il segno di un’umanità felice e dolorosa, imperfetta naturalmente.

Il commento sul Corriere dello sport di Mimmo Carratelli:

Il Barba ha sempre sorriso e sopportato lo scapestrato scugnizzo di Buenos Aires e, finché ha potuto, l’ha salvato due volte sulla soglia della morte, a Punta de l’Est e a Buenos Aires. Perché sono proprio i peccatori, è proprio la pecorella smarrita e non i 99 giusti che dà gioia al Cielo, come racconta Matteo. 
Smarrito era il pibe quando lasciava il prato delle sue delizie, la dura lotta, solitaria e straziante, contro il vizio e la perdizione, il vuoto di una solitudine incompresa,

un macigno sul suo cuore, la resa dolorosa di un ragazzo ribelle, fiaccato da una dipendenza assassina, ingiuriato, tradito, squalificato, incarcerato, vilipeso, usato e gettato via, solo contro tutti. 
Non ingannò mai nessuno, il pibe, solo se stesso, e tutto pagò e, quando la sua vita è finita, non era in debito col mondo, aveva pagato i suoi errori, uno a uno. In una straziante apparizione alla tv argentina confessò la caduta nella polvere bianca, aprì il suo cuore, si mostrò nudo e vulnerabile, sconfitto, grasso ma sincero, e forse felice. Aveva lottato come un leone contro la droga e, alla fine, ce l’aveva fatta dopo avere pianto lacrime di rabbia e di ingiustizia patita. 
Giovanni dice chi è senza peccato scagli la prima pietra. E, allora, il pibe non ha fallito come uomo. Peccando, è stato uomo fino in fondo, con l’umana debolezza che può solo intenerire il Cielo. Giudicare è facile, su questa Terra, comprendere un po’ meno, ma lassù un peccatore, un uomo perduto, una pecorella smarrita sono nel cuore e negli occhi del Barba. 
Maradona non sarebbe stato Maradona senza la sua vita drammatica. È questo il segno che ha lasciato. Il segno di una umanità felice e dolorosa, imperfetta naturalmente, con sentimenti forti, generoso e umile, esponendosi alle tempeste del mondo senza sfuggirle, senza nascondersi, cadendo e risorgendo, mai pavido e ipocrita, un uomo vero con tutte le fragilità delle creature umane. 
L’uomo Maradona non ha fallito. È stato uomo fino in fondo. Noi del golfo azzurro l’abbiamo amato non tanto per i suoi incantesimi sul prato verde, dove dispensava gioia da giocoliere sublime, ma proprio per la sua vita intensa, per i suoi errori e le sue cadute che lo avvicinavano alle nostre esistenze in bilico, alle nostre debolezze, ma lui, il pibe, più forte e coraggioso di noi tutti. 
Maradona è meglio ‘e Pelé perché il suo gioco non era solo raffinatezza tecnica, ma felicità vissuta e offerta, un incantesimo che andava direttamente al cuore, un messaggio di gioia, i suoi palloni erano coriandoli colorati, le sue finte un gioco di prestigio senza mai irridere all’avversario, leale in campo, ma anche deliziosamente furbo (la nostra furbizia napoletana?) a Udine e all’Azteca. 
L’uomo Maradona ci è rimasto nel cuore. Nei giorni delle notti bianche a Napoli, della crisi profonda, quando Diego si nascondeva nel bagno, piegato dalla droga, là nell’abitazione di via Scipione Capece, sulla collina di Posillipo, per nascondersi alle due figlie, e la più piccola bussava alla porta del bagno, mentre la più grande già lo giudicava, in quei giorni Fernando Signorini, il suo amico più vero, disse con Diego andrei in capo al mondo, con Maradona no. E, invece, proprio con Maradona, il campione eccelso e il peccatore sommo, noi saremmo andati avendo sofferto e pianto nei suoi giorni di paura e disperazione, le nostre stesse paure, la nostra stessa disperazione. 

Quando tutto è finito, in quella sua casa disadorna di Tigre, nel quartiere San Andres fuori Buenos Aires, solo, irrimediabilmente solo, quel giorno non finì il campione più grande di tutti, ma il disperato ragazzo che ci aveva preso il cuore”.

 

Fonte: CdS

 

 

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