Gazzetta – Finale già scritto, così Garcia aspetta il destino

Devi essere mentalmente una specie di Robocop foderato di amianto e forse non basta. Riuscire ad allenare una squadra, forse tua, chi sa se ancora tua, mentre ovunque è l’apoteosi dell’epitaffio virtuale, dal manifesto alla Totò del Vota Antonio a quello di Voglio la testa di Garcia, insieme a Mucchio selvaggio il più bel film di quel genio brutale di Sam Peckinpah. Hanno deciso che sei morto, anche se tu sei vivo, per convinzione e per contratto. Dall’aeroporto di Capodichino a Castel Volturno, la via crucis ieri del tecnico francese. Divenuto in poche ore l’Uomo Invisibile di una Panchina Fantasma. Le parole di Aurelio De Laurentiis sono state il colpo del becco funesto. Esplicite nel loro funambolico svolgersi. «Con Garcia è un momento no, ma non dobbiamo precipitare le cose, non dobbiamo cedere agli umori della piazza… Esonerare un allenatore, in ogni caso, fa parte della vita». Basta e avanza per scatenare la piazza forcaiola. Succede che, mentre il malcapitato e forse decapitato Rudi spiega a Simeone come si fa a spezzare le reni al prossimo Verona, siti, radio, giornali e whatsapp sono già lì che godono pronosticando, se Conte, Tudor, Galtier o Lopetegui. E, via via che s’impone la sua candidatura, quanto guadagnerà il Martello di Lecce e di come giocherà il suo Napoli. E Rudi Garcia? Rudi Garcia chi? Passato. Non esiste più, al di là dell’inerzia che spinge il suo sembiante dentro le mura di Castel Volturno, a dire parole che non contano a pochi giocatori che forse non ascoltano, in un’atmosfera sospesa. Si può ascoltare qualcuno che non esiste?

 

Destino segnato Diventa incomprensibile la scelta di non scegliere del presidente. Uno di cui non si può certo dire che non abbia il controllo della lingua italiana, quando fa il bizantino o quando molla bastonate esplicite. Sa sempre dove vuole andare a parare. Dove vuole andare a parare in questo caso, screditando e delegittimando il suo allenatore? Vuoi dargli ancora fiducia? Manda un messaggio chiaro allo spogliatoio. «Rudi Garcia non si tocca, resta fino a fine campionato!». Come fece Berlusconi a suo tempo con Arrigo Sacchi. Non ci credi più? Recidi con garbo la sua testa, libera lui e la piazza da un equivoco che somiglia sempre più a una tortura. Che senso ha confermarlo per tre partite? Davvero, una vittoria con il Verona ribalterebbe concetti, giudizi e pregiudizi? Garcia sta probabilmente vivendo un incubo e ha il diritto di uscirne con dignità. Chi scambia la sua eleganza per arrendevolezza sbaglia di grosso. Messo alle corde, l’uomo diventa una tigre. Finito nel Napoli del dopo Spalletti con la patente dell’usurpatore, nemmeno il più grande seduttore del calcio, Josè Mourinho, ne sarebbe uscito vivo. L’infausto appello dello “scordiamoci il passato” rischia ora tristemente di diventare “scordiamoci il presente”. Rudi può consolarsi, in questi giorni difficili, immaginando che il suo destino era già segnato il giorno stesso in cui fu presentato come “nuovo allenatore del Napoli”.

 

Sereno L’altra ipotesi è che il presidente, uomo dall’intelligenza luciferina, e lo dico con tutta l’ammirazione e il timore del caso, abbia lucidamente inteso che bisognava dare una vittima sacrificale in pasto al Moloch della Nostalgia. C’era bisogno di un sacrificio umano, una vittima perfetta, con una grande storia alle spalle e un presente di acquiescenza, capace di accettare il destino senza farne un dramma, a non troppi anni dalla pensione. C’era bisogno di un rito catartico. Disinnescato il magone del rimpianto e il fuoco della rabbia, il terreno sarebbe stato pronto per il grande nome, capace di ripartire quasi da zero, magari incassando senza troppo patire la cessione di un totem come Osimhen. Comunque andrà, Rudi Garcia merita rispetto. Come allenatore e come uomo. Il suo scudetto al Lille vale quanto quello di Ranieri al Leicester, ne vale 5 di quelli di Max Allegri alla Juventus. Ha mostrato grande calcio ovunque, alla Roma e al Lione. Non è passata una vita da quando, 2011, fu votato tra i primi dieci allenatori del mondo. La sua ultima figlia, quarta figlia, Sofia, italiana, è appena nata. Ama, riamato, Francesca, la sua compagna. Beato tra le donne, non ha più bisogno di molto altro. Non dovesse andare bene a Napoli, la sua storia di allenatore e di uomo ripartirà altrove. Serenamente.

G. Dotto (Gazzetta)

 

 

 

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