«Ci vuole coraggio a prendere il posto di Spalletti ma è una follia pensare di poter dire di no alla panchina del Napoli». Cesare Prandelli è sempre stato pacato e moderato, anche quando era ct che lottava contro un popolo di ct. «Con Garcia ora bisogna solo avere tanta pazienza. Lo so, il calcio va di fretta, invoca subito vittorie e non sa che il tempo è prezioso alleato, ma cambiare allenatore porta ad avere delle pause». Sobrietà, serietà e spirito unitario sono stati sempre l’arma in più di Prandelli. «Forse seguo più adesso il calcio. Ora è vera passione, ma vedo le cose con occhi leggermente diversi. Non farò marcia indietro, non tornerò ad allenare».
E oggi al Maradona? «Vedo una partita tra due allenatori a cui piace giocare e che può anche finire con tanti gol se non ci saranno correttivi e aggiustamenti tattici che tengano in conto quello che fanno gli altri».
Con Garcia è cambiato tanto? «Normale che sia così. È un piccolo trauma per i calciatori perdere i vecchi punti di riferimento dopo aver stravinto il campionato, dominato ovunque, sognato persino in Champions. Prima si resetta il passato e prima si può iniziare a partire con un nuovo ciclo. E mi pare che nelle ultime partite si intraveda questa transizione. Ma cambiare tecnico non determina, in automatico, una continuità di prestazioni e rendimento».
È così complicato? «Lo è quando si creano squadre solide come quella azzurra. Da fuori, era chiaro che il Napoli di Luciano non era solo una corazzata sotto il profilo della tecnica e della tattica: c’era una simbiosi straordinaria, la solidità era nella testa e nel clima che si era creato».
Cosa fare? «I calciatori smettano di fare una cosa che viene normale, automatica: i paragoni. È inevitabile. Anche io quando arrivai nel 2010 dopo il Mondiale del Sudafrica, in tanti avevano ancora nella mente e nel cuore la Coppa vinta quattro anni prima. Bisogna cancellare i ricordi, azzerare la memoria. E Garcia continui a fare quello che sta facendo: nessun copia e incolla, ma avanti senza indugi con le proprie idee. Senza paura dei risultati e del confronto. Anche nei rapporti umani».
Il coraggio ce lo ha avuto Spalletti a prendere in mano la Nazionale? «Non è una questione di coraggio, ma a un certo punto non puoi tirarti indietro. Come quando venne da me il presidente Giancarlo Abete e io non sono riuscito a dire di no. Non pensi ai rischi che corri, al fatto che puoi andare a rotoli. Luciano ha agito d’impulso. Come ho fatto io dopo il Sudafrica e come ha fatto Garcia quando è arrivata l’offerta del Napoli».
C’è un gruppo dei saggi? «Io ho sempre preferito parlare con tutti. Ma per un semplice motivo: prima di individuare i leader di uno spogliatoio, scegliere con chi confrontarsi, hai bisogno di almeno un paio di anni, quando hai garanzie morali sui tuoi interlocutori. Tante volte in pubblico si dicono cose che in camera caritatis sono esattamente all’opposto».
Qualcosa che l’ha colpita nella notte di Champions? «L’applauso del pubblico. Quello è stato il segnale che la gente ha capito che il Napoli ha dato tutto».
Difficile vincere lo scudetto due volte consecutive? «Io farei una legge speciale: il Napoli vinca ogni tre anni il campionato. Perché la festa è stata bella e coinvolgente, colori con cui la città è stata addobbata hanno spinto tante persone a venire a vedere Napoli».
Però difficile fare il bis? «Certo, hai il tricolore sul petto, sei la squadra da battere. Non basta più giocare sul fattore sorpresa perché non c’è più la sorpresa. Quando ero alla Juventus, per molti batterci valeva mezza stagione. E ora vale questo quando affronti il Napoli».
C’è un altro Napoli quest’anno? «No, sono in quattro e stanno più o meno tutte là. Compresa la Juventus».
Italiano avrebbe fatto bene con De Laurentiis? «Il presidente del Napoli ha voluto un allenatore che desse continuità al 4-3-3 ma questo modulo non è che sia una fotocopia, va interpretato. A Italiano, come a Garcia, piace anche virare al 4-2-3-1: sta facendo bene alla Fiorentina».