Il 4 novembre saranno 50, mezzo secolo di calcio professionistico. « Quattro novembre ’73, il giorno che ho esordito».
Claudio, mi viene in mente Trebiciani : oggi la maggior parte degli appassionati non sa nemmeno chi sia.
«Trebiciani, detto tra me e te, non fece un cazzo».
Amen.
«Perché hai nominato Trebiciani?».
Cos’è , una colpa? Trebiciani c’entra con i tuoi primi passi da calciatore.
«Ah, ecco perché Trebiciani, l’esordio nell’Anglo-italiano… In Serie A mi fece debuttare Scopigno».
Genoa-Roma.
«Sì, sì».
E chi ti volle terzino?
«La storia narra che fu Trebiciani . Ma non è così. Io giocavo nella Roma, da centravanti, e non la buttavo dentro. Roma Primavera e Roma De Martino, titolare, due tornei di Viareggio, e non la prendevo mai . Salito in prima squadra con Bet e Santarini , allenatore Herrera, tante mazzate e non si combinava nulla. Mi dico: gol non ne faccio, qui solo mazzate, meglio se mi sposto in difesa. C’era il preparatore dei portieri, aiutami, Tessari, sì , Luciano: bravo Claudio, mi incoraggiava, diceva vai, continua così. Via il Mago, arriva Scopigno e continuo a giocare difensore, ecco come è andata. Trebiciani…».
Eri allenatore già da giocatore, a ventidue anni. Ti sei ritagliato il ruolo.
«E me lo so ’ dato, sì! Io in questo mondo ci devo stare, dissi, per cui…».
Dopo cinquant’anni sai tutto del calcio o ti manca ancora qualcosa?
«Credo di non sapere nulla, posso dire che conosco il prato verde quando alleno i ragazzi, questo sì, ma tutto quello che sta dietro non l’ ho mai voluto affrontare . Pensa che…».
Mi riferivo al campo.
«Ah, il campo , perlomeno il campo lo conosco, no? Il primo presidente del Chelsea e anche Abramovich mi chiesero se volevo avere in mano tutto, manager a trecentosessanta gradi, all’inglese . Risposi “ no, non voglio fare il manager, voglio esclusivamente indicare quali giocatori mi stanno bene e quali no e qui finisce . Non voglio avere a che fare con contrattazioni, cose varie, non è il mio lavoro, il mio specifico ” . In questo senso non conosco altro che il campo».
Si parla sempre più spesso di aggiornamenti tattici e non solo: di cambiamenti, analisti, algoritmi, moneyball, nuovi linguaggi .
(Sceglie la leggerezza). « I linguaggi so’ simpatici, non mi piacciono i braccetti, un braccetto è uno che non vuol spendere, c’ha il braccetto corto».
Quello è il braccino.
«Va beh, del tennista, non mi piace, però mi adeguo».
Per cui, linguaggio a parte, ti consideri attuale o no ?
«Lo sono, sennò non potrei allenare, giusto . ..? E non fare il furbo, dici delle cose e poi le metti in bocca a me. Guarda che poi leggo bene l’articolo e non ti faccio più ballare con le stelle, eh! Ti rompo le cosce, ti rompo».
Claudio, stai sereno.
«Allora, se ben ricordi, nel 15-18, quando cambiavo spesso sistemi di gioco , venivo criticato perché non capivano. Sbagliavo, insomma, e salvai il Cagliari, stagione ’90- 9 1. Ero attuale allora, quando declinavo diversamente il 3-5-2?».
Ranieri avanguardista.
«Innovativo, si direbbe oggi , mi staccavo dal 3-5-2, che facevamo quasi tutti. Solo Sacchi praticava la zona totale, in precedenza Vinicio un po’ nel Napoli. Io facevo l’uno e l’altra, la squadra mi seguiva e riuscii a salvare il Cagliari. Da tempo lo fanno un po’ tutti, per cui ben vengano gli stili di gioco che noi italiani sappiamo sviluppare ed esportare . Credo che il nostro campionato sia il più difficile, non il più bello, proprio per l’attenzione alla tattica . All’estero non la curano molto, la fanno, ma non così esasperata»
Come siamo messi a transizioni? A intermedi? A giocatori positivamente orientati?
«Io vorrei qualche punto in più, poi potremmo cazzeggiare su tutto »
Francia, Spagna, Grecia, Inghilterra, ti sei fatto una bel giro d’Europa, però in cinquant’anni hai vinto un solo campionato. E quando ci sei riuscito, a Leicester, hai addirittura esagerato, entrando di diritto nella storia della Premier.
«Sono contento della mia carriera, la auguro a chi adesso sta iniziando . C’è chi è stato più bravo di me, ma io sono più che soddisfatto » .
Non mi sorprende, hai anche guadagnato un sacco di soldi.
«Quelli li hai guadagnati tu, con tutte le cose che fai, io faccio soltanto l’allenatore».
Quale, il momento in cui ti sei sentito, al di là di Leicester, veramente realizzato, compiuto?
«Quando ho capito che potevo fare l’allenatore. Il periodo? I miei tre anni a Cagliari».
Da cosa l’hai capito?
«Avevo vinto un campionato di C e la Coppa Italia di categoria, ero stato promosso con il Cagliari in Serie A e l’avevo salvato. Il massimo per un giovane allenatore che non sapeva cosa avrebbe fatto da grand. Conosciamo tutti ii calcio, a parole, ma pochi lo masticano realmente. In quel periodo mi resi conto che sapevo parlare con la stampa, e prima di tutto con i miei giocatori, i dirigenti, i tifosi, avevo delle idee ed ero in grado di trasmetterle. Provenivo dall’Interregionale e dalla C a Pozzuoli… Tutta la gavetta mi sono fatto, non sono stato un campione al quale hanno dato la Serie A, sono partito da zero. Ecco, quello è stato il momento più bello. Per questo Cagliari, l’isola, la Sardegna è il mio scoglio duro, nei momenti difficili – ne ho avuti come tutti gli allenatori – il ricordo di Cagliari diventa importantissimo. E sempre per questo, quando sono stato chiamato, ho riflettuto a lungo, avevo paura di perdere la considerazione e l’amore che m’ero guadagnato».
Sei un allenatore e un comunicatore mai sopra le righe.
«Corretto. Cerco sempre di mettermi dall’altra parte della telecamera o dalla parte di chi legge il giornale. Non mi piace dare la colpa a tizio, all’arbitro, al rigore, al giocatore, al mercato : e non mi hanno comprato questo e quello e quell’altro. Ho la nave e devo portarla in porto. Gli alibi non fanno per me e non evitano il naufragio»
Sai bene che spesso ci sono delle ragioni serie dietro un risultato negativo …
«Certo, certo, conosco tutti i motivi, ma perché renderli pubblici? Guardo avanti, quello che è successo ormai è passato. So che mi hanno consegnato una nave, ne ho accettato il comando e devo portarla da qui a là. Incontrerò la bonaccia, e la tempesta. È inutile dire m’hanno dato un carico troppo leggero o troppo pesante, ho imbarcato acqua e si è aperto un buco a destra. La nave in porto è ciò che conta, tutto il resto sono chiacchiere, scarico di responsabilità quando le responsabilità sono solo mie. È il mio pensiero».
Sì, ma non è semplice.
«Ecco la nave che lentamente affonda man mano che si perdono i punti, si alzano le acque, io devo essere la scialuppa di salvataggio. Il mio è un modo di essere. Anche da giocatore sapevo quando sbagliavo e lo ammettevo, non avevo timore di confessarlo . Cavolo, questo gol è nato perché ho sbagliato io, è successo così e così. Non ho mai avuto paura di dire, da giocatore e da allenatore, ho sbagliato io. Mai»
Dopo 50 anni, la pressione si gestisce meglio perché si è già visto, conosciuto, incontrato, affrontato tutto, o è sempre uguale? «Non te lo so dire, non ricordo come gestivo la pressione quand’ero ragazzo. Adesso però la vittoria non mi ripaga della sconfitta. Mi brucia molto di più».
Dopodomani ritrovi Mourinho che ti diede del settantenne quando di anni ne avevi una dozzina di meno.
«Lui è un grande. Tanto di cappello».
Tutto qui?
«Certo».
Mi lasci a bocca asciutta.
«No, guarda, è un allenatore ottimo e finisce qui, signor Zazzaroni».
Ti stai nascondendo.
«No no no. No perché non mi va di parlarne bene e nemmeno di dire, ah sì, mi diede del settantenne. Son cose nostre, cose che abbiamo messo a posto, superato abbondantemente, lui mi ha conosciuto meglio»
In seguito ti fece anche un sacco di complimenti.
«Quando mi esonerarono si presentò in sala stampa indossando la tuta con la scritta CR , che gli devo dire? Solo grazie, è un grande amico, un grande allenatore, soltanto un grande uomo fa cose del genere. Grazie».
Quanto può essere difficile esonerare Ranieri, oggi?
«Non credo sia difficile. Il giorno in cui mi vedessero depresso, o non più in grado di comandare la barca, sarebbe addirittura opportuno. Se fossi il presidente e vedessi che il mio allenatore non ha più in mano lo spogliatoio, dovrei cacciarlo giocoforza. Non sarebbero certamente i risultati a spingermi al licenziamento. Da uomo di sport mi sento di dire questo, poi ogni presidente è libero di fare quello che vuole, ci mancherebbe»
Qual è stata la tua Roma migliore?
«Quella che presi a zero da Spalletti, facemmo più punti dell’Inter del triplete, però vinsero loro per due. Quella, la mia Roma più bella».
A un passo dal miracolo.
«Sarebbe stato bellissimo, un tifoso della Roma che vince lo scudetto con la Roma».
Ma sei ancora tifoso della Roma?
«Beh, il bambino che è dentro di me lo è sempre. Non l’ho mai nascosto e mai lo nasconderò. Poi sono un professionista e faccio il lavoro per la squadra che alleno, devo ammettere che sono ugualmente tifoso del Cagliari. Il Cagliari è la squadra del cuore dell’io allenatore. Guarda, come allenatore voglio bene a tutte le squadre nelle quali ho lavorato, le seguo sempre con affetto e controllo il risultato di questa, di quell’altra. In questo periodo sono contento per il Catanzaro, per il Catania, dove ho anche giocato. E quando giocano in Europa, sono totalmente italiano e faccio sempre il tifo per le nostre » .
La tua lettura dei risultati non finisce mai: di squadre ne hai allenate una ventina.
« Il tempo non mi manca».
Fiorentina, Juventus, Inter, Napoli, Parma, Roma, Cagliari, quale la realtà più complicata? «Una realtà vale l’altra. Ci sono state delle difficoltà, questo sì, ci sono sempre delle difficoltà che, con il mio carattere, affronto a muso duro».
Cosa non abbiamo ancora capito di Ranieri, dopo mezzo secolo di frequentazione ?
«Avete capito tutto, sono un libro aperto. Non credo che ci sia altro. Così come mi vedi, lo sai benissimo, così sono io. Un uomo tenace, uno che non molla mai, un uomo che dice ai suoi giocatori che se nel calcio e nello sport sappiamo reagire ne i momenti difficili, quando sarà la vita vera a riservarceli ci troverà pronti. Sono una persona che ama il suo lavoro, che s’incavola tantissimo se qualcuno fa di tutto per distruggere l’amore per il calcio».
Cosa ti è mancato professionalmente? In fondo hai avuto anche l’esperienza con la nazionale greca.
«Purtroppo. Volevo capire cosa significasse fare il selezionatore e l’ho capito. Sono andato lì e non ho mai potuto allenare perché ho preso la Grecia il martedì con giocatori che magari stavano male, il campionato in corso e tutto il resto, e ho giocato il sabato, due allenamenti e mezzo, in uno stadio vuoto, era squalificato. Ho preso gol dopo 10 minuti su rigore. I ragazzi li ho rivisti due mesi dopo, di nuovo il martedì, chi stava male, chi stava così così , chi stava colà. Non ho nemmeno avuto la possibilità di fare due amichevoli per tentare di correggere qualcosa. Per cui una nazionale mi manca. Al punto che ho dichiarato che il Cagliari sarà la mia ultima squadra di club e se arriverà una nazionale che mi interessa, beh, perché no».
Ranieri è definitivo.
«Finire da dove tutto è cominciato e il cerchio si chiude».
C’è sempre il Vigor Lamezia,
«Potrei allenare i ballerini di Ballando con le stelle e tu mi daresti il voto. Io sono un ballerino nato, un tronco di quercia come non ce n’è».
Sei un uomo che coltiva l’amicizia con passione. Ricordo il tuo rapporto con Gianni Di Marzio, con gli ex compagni al Catanzaro e con Carletto Mazzone.
«Un rapporto bellissimo, franco, mi fece lui capitano del Catanzaro. Un uomo tutto d’un pezzo. Ti guardava negli occhi e ti diceva pane al pane e vino al vino. Della squadra avversaria conosceva vita, morte e miracoli, come affrontarla, come renderle difficile l’esistenza . Un uomo sincero che amava il calcio e viveva per il calcio e la famiglia. Finita la partita si faceva da Catanzaro, dove l’ho avuto io, ad Ascoli. Quanti sono, cinque, seicento chilometri?».
Settecentocinquanta.
«Per raggiungere i suoi il lunedì mattina, il martedì pomeriggio rientrava. Uomo d’altri tempi, uno vero» .
A proposito di famiglia, sei stato un padre assente per motivi di lavoro ?
«Sono stato un padre presente fino a quando sono andato in Spagna la prima volta. Mi dissero che a Valencia avrei trovato la scuola italiana, arrivai e mi spiegarono che s’era curiosamente spostata a Madrid. Mia figlia, che allora aveva 15, 16 anni, chiarì subito che avrebbe preferito restare a Roma, la scuola, gli amici. In seguito l’assenza è stata sistematica, al di là di ogni buona volontà mia. I figli li mettiamo al mondo, poi cerchiamo di instradarli, gli diamo quello che possiamo , ma sono figli di Dio. Io sono stato fortunato perché ho avuto dei genitori che non mi hanno mai imposto a, b o c, si limitavano a qualche raccomandazione, li vedevo lavorare , lavoravano sempre. Mia madre mi ripeteva questa frase: “ Nella cerchia dei tuoi amici devi essere il peggiore, perché io conosco te e so che persona sei, per cui se tu sei il peggiore io sto tranquilla”».
Concetto sanissimo che hai trasferito a tua figlia?
«A mia figlia no, spero che lei sia la migliore di tutte».
Scomponiti, spiazzaci .
«La mia forza è questa: la positività, soprattutto nei momenti difficili. La vita va vissuta, la vita è bella e poi non ho mai visto un perdente vincere. Un perdente le disavventure se le chiama».
Qualche tradimento l’avrai pure sofferto.
«Ci restai malissimo la seconda volta a Valencia. Perché anticipai ai dirigenti come sarebbe andato il campionato. Valencia poteva essere tipo Cagliari, anche lì tutti mi volevano e vogliono bene. Quando Benitez vinse campionato e Coppa Uefa e andò al Liverpool, vennero a parlarmi e io in qualche modo tentai di dissuaderli: “guardate che la squadra ha vinto campionato e coppa ma non poteva vincere, è stato un anno perfetto e irripetibile. Vengo perché la gente mi vuole bene, sappiate che attraverseremo dei momenti difficilissimi. Aiuto voi adesso, perché siete in difficoltà e se mi riportate la tifoseria sarà felice. Ma nei periodi duri dovrete sostenermi”.
Immagino la risposta.
«Sì sì, Claudio, sì si, Claudio non ti preoccupare. Rispedito a casa dopo la prima crisi. Avevo fatto una scelta di cuore, perché mi voleva un’altra squadra, inglese, forte, che mi dava più soldi, sarei rimasto volentieri in Inghilterra. Provai un’amarezza indicibile fino al passaggio al Parma, mi avevano distrutto. Però, questo è il calcio» .
Telefonata di Giulini, ti dice “mister, perché non viene lei a Cagliari?”
« Ci sono state tante telefonate interlocutorie prima che il presidente…».
Quanto impiegasti per decidere? In fondo si parlava di Serie B.
«Nessuna questione di A, B o C. Si trattava di tornare da dove ero partito, dove avevo e ho un rapporto fuori dal normale con la gente. Pensai, e se va male? Se finisce come a Valencia? So di poterli aiutare, ma se non funziona? Ero cosciente del fatto che rappresentasse uno degli ultimi ingaggi. Decisivi gli attestati di stima degli amici di Cagliari, il figlio di Riva che spingeva, “anche papà ti vuole , è contento”. Un giorno Gigi pronunciò queste parole: “Claudio è uno di noi”. Sto pensando a me stesso, il Cagliari è in difficoltà, perché devo essere così egoista? È andata così » .
Con i presidenti sei sempre estremamente diretto .
«Tante volte servirebbe un po’ più di… non dico di mestiere, di diplomazia » .
E cosa hai detto a Giulini dopo la promozione: stia attento, presidente, che in A rischiamo?
«Gli ho detto: “Presidente, non c’è una persona che mi parla bene di lei, com’è possibile?”».
E lui?
«È un tipo a modo. Uno che ci sta col cuore, sempre vicino alla squadra, anche se non lo vedo spesso, ma abbiamo un rapporto franco, leale, con lui mi trovo bene».
E allora thanks, mister Tinkerman.
«Lunedì sarò a Roma, se vedo qualche titolo del cazzo, che non mi piace, ti mangio vivo. Non mi dire…».
Sarò a Milano.
«Vengo a Milano, sì sì, fa’ così . Non mi dire io ho fatto questo, poi il titolo, sai, non è mio » .
Quando mai l’ho detto ?
« Sei un direttore, mi incazzo, ti mangio vivo… Ciao amore mio, ciao amore mio».
Fonte: Corriere dello Sport