O come Ottavio, O come ottanta, gli anni che compie oggi il primo allenatore capace di vincere uno scudetto a Napoli. Perché anche se ha ottenuto grandi risultati in tutta Italia, dall’Atalanta alla Roma, dall’Avellino al Como, lo storico tricolore del 1987 rimane il punto più alto della carriera di Ottavio Bianchi. Una carriera doppia, prima sul campo e poi, controvoglia, in panchina. «Avevo dieci anni, giocavo all’oratorio “Cristo Re” a Brescia e quando mi chiedevano che cosa volevo fare da grande, davo per scontato che avrei fatto il calciatore. A diciassette anni, però, mi sono rotto il primo crociato e i medici mi hanno detto che non avrei più camminato! Non mi sono arreso e per due anni ho fatto rieducazione fino a quando ho potuto riprendere».
Come è diventato mediano?
«Avevo incominciato a giocare in attacco nel Brescia, poi dopo una sconfitta a Varese l’allenatore Gei mi chiese se me la sentivo di fare il mediano e io, pur di giocare, ho accettato di arretrare».
Qual è stato l’avversario più forte?
«Pelé, un campione bellissimo da vedere, che affrontai in America con il Napoli. E poi tutti i numeri 10, da Rivera il migliore, a Bulgarelli».
Tra i suoi compagni chi ricorda più volentieri?
«La squadra più forte in cui ho giocato è stata il Napoli. Avrei potuto vincere lo scudetto già allora, nel 1968, ma arrivammo secondi dietro il Milan. Con me c’erano tanti campioni, da Altafini a Sivori, da Juliano a Zoff, che considero il numero uno in tutti i sensi, un “hombre vertical” come si dice adesso».
Quale allenatore le ha insegnato di più?
«Tutti mi hanno lasciato qualcosa. Ricordo la concretezza di Gei che mi ripeteva “laurà, laurà, laurà ”, la simpatia di Pesaola che mi rimproverava perché andavo a letto troppo presto e trattavo male i giornalisti, l’umanità di Chiappella, la psicologia contadina di Rocco che purtroppo ho avuto poco al Milan».
È merito loro se poi ha vinto in panchina?
«Per la verità, avrei voluto fare tutto tranne l’allenatore. Alla Spal, però, dove ho smesso di giocare, il presidente Mazza non trovava un allenatore e un giorno improvvisamente mi chiese di incominciare. Così ho fatto la classica gavetta, partendo dalla Serie C, perché nessuno mi ha mai regalato nulla».
Dalla Spal fino a Maradona: come lo pensa?
«Con grande tristezza per la sua fine. Sento ancora il suo preparatore Signorini e anch’io dico che con Diego farei il giro del mondo, con Maradona no».
Che ricordo ha di Napoli?
«Napoli e i napoletani sono nel mio cuore. Lì ho ancora tanti amici e io dico che Napoli non è quella dei luoghi comuni. Per me ha rappresentato una lezione di vita, perché a Napoli sono stato rispettato da tutti come uomo, prima che come giocatore o allenatore. Napoli è unica, per la cultura, il senso dell’umorismo, la raffinatezza. Io sono fortunato perché l’ho vissuta in due epoche diverse».
Il suo Napoli subito dopo lo scudetto ha sfiorato il bis e vinto la Coppa Uefa, questo invece è già staccato da Inter e Milan e ha perso con il Real Madrid in Champions.
«Un calo fisiologico era prevedibile, ma è presto per giudicare, bisogna aspettare almeno dieci giornate di campionato. E comunque, anche se non mi piace il fatto che abbia preso tre gol in casa, contro il Real Madrid ha giocato molto bene, per cui è ancora in corsa su tutti i fronti, in campionato e in Champions».
Tiferà Napoli nella volata scudetto?
«La parola “tifo” non c’è nel mio vocabolario. Posso dire, però, che lo seguo sempre con simpatia».
Che idea si è fatto delle polemiche attorno a Osimhen?
«Non mi piace parlare di cose che non conosco. Dico soltanto che Osimhen è unico e ha già dimostrato il suo valore. E in generale aggiungo che occorre il rispetto dei ruoli, perché il giocatore deve fare il giocatore mentre l’allenatore fa l’allenatore».
Condivide la scelta di Spalletti che non ha voluto continuare?
«Probabilmente aveva capito che vincere ancora era più difficile. Adesso è in Nazionale e gli mando un grosso in bocca al lupo, perché in Italia ci sono troppi stranieri e se i nostri ragazzi di 18-20 anni non trovano spazio, nemmeno lui potrà fare miracoli.
Bisognerebbe azzerare tutto, altrimenti non ne veniamo fuori e si darà sempre la colpa agli allenatori senza risolvere il problema».
Prima della sosta per la Nazionale, domenica c’è Napoli-Fiorentina: le ricorda qualcosa questa partita?
«Grazie a quell’1-1 in casa abbiamo vinto lo scudetto, ma ormai sono passati tanti anni anche se non vorrei ricordare quanti ne compio. Nessuna festa, quindi, ma una semplice cena con i figli, perché le feste di compleanno si fanno soltanto ai bambini».
Nessuna festa ma almeno tanti auguri, caro Ottavio.
Da La Gazzetta dello Sport