Appare chiaro a tutti, anche a Rudi Garcia, che qualcosa si è rotto, quando l’ipercalcisticità di Khvicha Kvaratskhelia, davanti alla seconda sostituzione in due partite, si raccoglie in un gesto da Pulcinella: mano dondolante chiusa a peperone, che nella lingua dei segni universali napoletani significa: Ma che vuoi? Mentre tutti intorno, dal “Ferraris” a piazza Plebiscito, si chiedevano: Ma che fa? Lo toglie di nuovo sul più bello? Per mettere Zerbin.
Ecco, qualche dubbio viene, e si aggiunge al fatto che Lobotka, da regista catalano – fino a due mesi fa sembrava un prodotto guardiolesco – è diventato uno schermitore, e a pensare è stato messo il grosso, Anguissa, come invertire nei film Bud Spencer e Terence Hill.
E ancora non basta, perché Rrahmani invece di fare da guida per Natan – preso al posto di Kim – va in panchina, e la difesa del Napoli balla sotto i colpi di Alberto Gilardino che, però, non giocava.
Infine, Osimhen, il barbaro delle aree di rigore, lasciato a secco, senza palle giocabili, senza corridoi e quindi senza gol. E si può continuare, tanto che il Napoli sembra un cantiere della metropolitana dove ogni lancio lungo è un traforo dello spallettismo, che ossessiona sia Rudi Garcia che Aurelio De Laurentiis.
Però Kvara e Osimhen non si possono mortificare, e non perché sono nella lista del Pallone d’oro, ma perché sono calciatori selvaggi fuori dal calcio pettinato delle tabelle, per questo il Napoli appariva così spavaldo negli esercizi estetico-calcistici: macinando gol e vittorie. Con pubblico e calciatori che si divertivano. Ora no. Se Garcia si diverte ci dica: dove, come e quando. Magari avrà ragione lui. Per ora i napoletani sono avviliti, vedendosi scippati di un linguaggio – la bellezza – che davano per acquisito come l’identità di Liberato
Fonte: Gazzetta