Spalletti nel post: “Sono in Paradiso, avvolto in azzurro, ora più tranquillo”

Il c.t. soddisfatto della prestazione: «Sono stati 20 giorni di grande pressione»

Se n’è andato applaudendo San Siro, respirando di soddisfazione più che di sollievo nell’attraversare quel prato dove, innaffiando per due anni dal 2017 al 2019, aveva coltivato il seme di un’altra Europa. Quella ritrovata dalla sua Inter. La sua Italia deve ancora trovare la sua Europa, ma il passo di ieri sera forse è stato più lungo di quanto non dica il risultato finale. Se ferocissimo sarà lui (nelle sue scelte) – così ha detto – meno feroce del previsto è stato lo spareggio di ieri sera. Perché di spareggio si trattava, anche se non “tecnicamente”. E ne abbiamo dovuti giocare diversi, recentemente. E non sarà l’unico, in questo girone che deve portarci all’Europeo. Ma ora la strada sembra un po’ più sgombra, l’orizzonte meno confuso, fare il c.t. ancora più bello: «Mi sembra di essere in paradiso, tutto avvolto da azzurro… Ma stasera non è nata la mia Nazionale, la Nazionale è sempre di tutti». Sicuramente da ieri sera il lavoro da fare gli sembra un po’ meno complicato. E qui sì che Spalletti tradisce parole liberatorie: «Sicuramente sì, ora lavorerò con più tranquillità: vengo da venti giorni di pressione totale nella testa, troppe cose da capire, di cui rendersi conto. E devo ringraziare i miei collaboratori e tutti in Federazione, per quanto mi hanno aiutato».

 

Chiudere prima Ieri sera lo ha aiutato di più anche la sua squadra, diciamo che si è aiutata da sola: «Bisogna essere contenti, se ci si ferma a due situazioni subite nel primo tempo e due palle buttate in area nella ripresa, allora si fa quelli pignoli e non va bene. Del resto, quando scegli un calcio più qualitativo e moderno, rischi di rimanere con degli spazi più larghi. Ma la squadra stasera ha giocato un buon calcio, è stata in campo in modo corretto. E a me è piaciuta per tutta la partita, non solo nei primi 35-40’, quando comunque ci sono state dieci situazioni di riaggressione di quelle che tolgono fiducia agli avversari e ne danno allo stadio. Loro sono stati bravi su quelle ripartenze, quando noi abbiamo perso un po’ di qualità. Ma per loro perdere 2-1, oppure 3-1 o 4-1, era la stessa cosa. E noi avremmo dovuto avere più qualità per segnare il terzo e il quarto gol. La partita andava chiusa prima, altrimenti arrivi con il fiato sul collo fino in fondo. E non va bene». È un male antico dell’Italia, dover mettere in fila per contarle le occasioni da gol non sfruttate. Ma forse è stata ancora anche questione di tensione: «Ma dobbiamo essere contenti di giocare partite con questa tensione qui. Magari non perché si rischia la qualificazione, ma per obiettivi più importanti. Sono queste tensioni che danno la misura di che uomo e che calciatore sei, che reazioni sai avere nelle difficoltà, in situazioni senza scelta. A chi ci guarda e soprattutto a noi stessi».

 

Nuovo metodo Per nove giorni, dice Spalletti, ha lavorato in condizioni ideali: «Mi porto dietro con grande piacere l’attenzione, la disponibilità e la partecipazione totale che mi hanno dato i calciatori, in tutto quello che avevo chiesto. Per questo dovrò fare sempre grande attenzione nelle convocazioni, perché poi si fa del male a chi viene qui con tanta voglia, nel mandarlo in tribuna. E mandare in tribuna è più difficile che non convocare».

Sicuramente più difficile che mandare qualcuno in panchina, come Immobile: «Dovevo tenere presente anche quante scorie può aver lasciato nella gambe, e non parlo solo di lui, una partita in un campo come quello di Skopje».

Le scelte sono aperte, si parla di Immobile e come già fatto nei giorni scorsi Spalletti cita Scamacca, Kean: il progetto è aperto, il suo metodo anche. «Magari ne chiamerò qualcuno in meno, con un gruppetto di 6-7 giocatori allertati, da aggregare se necessario. Può essere un’idea».  Fonte: Gazzetta

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