Una volta, proprio in questo stadio, tutto sapeva di lui, d’un calcio champagne, di una felicità sgargiante. «Ma questa non è una sfida tra due allenatori». Mentre Napoli-Lazio sta per cominciare, e come sempre nell’aria si avvertono bollicine e la sagoma di Sarri, Rudi Garcia si scosta dalla panchina, si sistema a bordocampo e cerca una luce propria: «Perché 6 punti su 6 sono buoni ma 9 su 9 sarebbero ottimi». Ci si potrebbe girare un film dentro questa ora e mezza che sa – nel suo piccolo – di spartiacque, ma mentre le ansie della viglia stanno per assorbirlo, e nell’aria a Castel Volturno c’è il senso pratico della vita, Garcia preferisce uscire dal ruolo e calarsi in una parte nuova: «Gare del genere ti aiutano a mettere distanza tra te e le altre, prendendo loro punti: la Lazio è una di quelle dirette antagoniste, anche se ha zero».
E questa è un’ouverture con la quale val la pena lasciarsi cullare, dopo Fiorentina e Sassuolo, dopo melodie carezzevoli e sensazioni deliziose: «Forse con il Sassuolo potevamo fare di più in attacco, a tratti. Ma, per fare un esempio, il Frosinone battendo l’Atalanta ha dato valore al nostro successo in casa sua».
È ancora così presto per poter vivere il Napoli come qualcosa che Garcia senta tatticamente sua, ci sono tracce delle sue idee, un tentativo di diversità rispetto al calcio che l’ha preceduto conquistando la gloria, e c’è poi il desiderio d’immergersi in se stesso che finisce per indurre in uno scivolone dialettico magari favorito da una relativa padronanza con la lingua: «Io il passato non lo conosco». Perché forse è un comprensibile peso, a modo suo, da adagiare in fondo ai pensieri di quest’estate ancora piena degli addobbi e dei ricordi d’un trionfo inebriante; o magari no, è semplicemente l’attesa di riuscire ad emulare ciò ch’è stato il Napoli di Spalletti, aggiungendoci qualcosa di proprio, un gioco alternativo, meno concentrato intorno a Lobotka: «Io faccio il mio calcio. Una squadra che dipende da un solo giocatore, che sia attaccante o play, è una squadra in pericolo perché basta chiudere il tuo punto forte e sei in difficoltà. Nel Napoli che ho in testa, voglio che tutti possano dare una mano nella costruzione e mi va bene se Lobotka tocchi qualche pallone in meno».
KVARASTROM. Ma il suo Napoli, avrà altra materia grigia da sfruttare, perso Lozano si godrà il talento di Lindstrom da aggiungere a quello di Kvara e di Osimhen, di Politano, Raspadori e Simeone, in un attacco che – scandito a bassa voce – induce a sognare. «Sono contento che stia qua perché Lozano è andato via per ragioni economiche. Lindstrom ha qualità ma vi dico un’altra cosa di come funziono io: quando arriva uno nuovo non dimentico i vecchi. Quindi, il danese sarà in panchina. Per me, lui può giocare in tutti i ruoli, non solo in attacco. E quanto a Kvara, sta meglio. Gli è servita una settimana intera di allenamento». Napoli-Lazio è la fotografia di quest’istante però pure già un passepartout per un orizzonte scintillante, che arriverà dopo la sosta, quando poi si comincerà ad assaporare quel football pieno che sa di Champions, dunque di Real Madrid, una tenera ossessione per Garcia. «Il sorteggio poteva andare peggio ma anche meglio e comunque rimette a posto le cose, per me: nel 2015-16 avevo qualificato la Roma e non mi fu consentito di giocare quelle partite».
Fonte: CdS