Da Spalletti a Garcia passando sempre per Osimhen. Possiamo discutere a lungo del nuovo Napoli, della transizione dallo scudetto al futuro da decifrare, dei movimenti diversi richiesti dal tecnico francese. Tanto, finché c’è un centravanti come Osimhen, si parte sempre con un gol di vantaggio (o quasi). Due centri dei suoi, uno con un’entrata prepotente sotto porta, l’altro in velocità irresistibile, e addio fantasmi e Frosinone. Il ricordo va alla telenovela del mercato, a De Laurentiis che non avrebbe accettato meno di duecento milioni con i quali in fondo poteva ricostruire la squadra. Osi resta.
E, aspettando di definire la clausola d’addio, può darsi che gli arabi e gli altri pretendenti dovranno aumentare l’offerta sul piatto perché di 9 così in giro ce ne sono pochi. Il Frosinone ci prova, aggredisce match e avversari come pretende Di Francesco, segna subito su rigore di Harroui, ma viene raggiunto da Politano e scompare, schiacciato dal nigeriano.
Anche un anno fa Lasagna aveva portato avanti il Verona, poi era finita 5-2. Qui si parte con un bel 3-1 e l’impressione che questo Napoli possa essere meno spettacolare ma più cinico.
Osimhen & c. Napoli che non è soltanto Osimhen. Di Lorenzo è sempre più totale: un esterno di spessore europeo che interpreta mille ruoli con intelligenza tattica rara. Politano, suo l’1-1, è una zanzara fastidiosissima per qualsiasi difesa: parte da destra a testa bassa e s’incunea con dribbling e triangoli prima di tentare cross o tiro.
Anguissa è ancora insostituibile, l’alter ego camerunese di Tonali per come si sdoppia tra impostazione e marcatura a tutto campo. Eppure – ecco la prima domanda da rivolgere a Garcia – il Napoli era partito con il nuovo Cajuste al suo posto e parecchie misure lì in mezzo sono saltate. Lo svedese, non ancora pronto, è stato protagonista in negativo del rigore dopo sei minuti, scalciando con negligenza Baez, poi il suo fuorigioco ha negato il 2-1 di Raspadori. Nella ripresa, con Anguissa, tutta un’altra storia. E mancava Kvaratskhelia, con Osimhen e Leao il meglio che c’è.
Identità Garcia Garcia ha fatto capire senza troppi giri di parole che vuole un Napoli suo, non la fotocopia di quello, bellissimo, di Spalletti. Giusto, è una questione di identità. Anche Allegri cambiò la Juve stravincente di Conte, ma con giudizio. Garcia non ha rinnegato il predecessore, al momento ha rinunciato a idee tutte da verificare come Raspadori mezzala, e non ha mandato all’aria i cari vecchi codici. Però si vede già la direzione diversa. Meno possesso (qui il 52 per cento), meno tocchi (poco più di 600 come il Frosinone), meno uscite palle al piede in impostazione bassa. Più lanci e verticalità. Come se il gol e la voglia di far male il prima possibile fossero il nuovo totem.
Nuovi percorsi Tutti aggiustamenti che non saranno assimilati in un giorno. Osi ci ha messo una ventina di minuti a capire posizione e movimento. La manovra scorreva più casuale anche perché, all’inizio, è mancato Lobotka, addirittura impreciso. Anche qui c’è un po’ di Garcia: il 4-3-3 non è diventato un 4-2-3-1, ma potrebbe presto trasformarsi così. S’è visto spesso Cajuste (e poi Anguissa) affiancare lo slovacco partecipando attivamente alla regia. S’è visto Zielinski tagliare verso il centro stando vicino a Osi. Un quadro tattico da rivedere quando a sinistra ci sarà Kvaratskhelia e quando arriverà Gabri Veiga che interpreta il ruolo di Zielinski con più propensione da trequartista.
Risposte per Difra Buona, buonissima la “prima”, anche per il carattere nella reazione, i movimenti presto ritrovati, la fase difensiva, ma per risposte più sincere serviranno altri avversari. Ora c’è il Sassuolo, poi la Lazio, l’attesa per Garcia contro Sarri. Il Frosinone ha fatto quasi tutto quello che poteva. Si vede la mano di Di Francesco. La partenza con pressing alto ha costretto il Napoli a chiudersi in affanno e concedere il rigore in un’area affollatissima. Però la qualità mancante ha fatto presto la differenza: il centrocampo è un po’ fragile, in attacco Caso può fare il fenomeno ma anche scomparire, Baez s’è visto nei momenti chiave ma non sempre è nel gioco, dietro c’è parecchio da registrare. Anche per Di Francesco però serve pazienza. Il calendario non è stato benevolo, ora c’è l’Atalanta, ma poi Udinese, Sassuolo e Salernitana non dovrebbero mentire.
Fonte: Gazzetta dello Sport