Al centro del villaggio, c’è un uomo solo e però felice: sa che questa vita nuova spruzza allegria nell’anima e però, dopo averne viste tante, immagina pure che avrà addosso a sé, sempre, l’ombra d’un passato luminoso che abbaglia Napoli. Sono trascorsi (appena) 107 giorni dalla notte di Udine, lo spartiacque tra il vuoto e la gloria, il ponte tibetano sul quale lasciarsi andare, gonfi di felicità, e ora che sta per ricominciare, e chissà per quanto tempo ancora, tutto sa di quel 4 maggio, d’un entusiasmo travolgente. «A me piace che qui il calcio sia religione».
Il signor Rudi Garcia, nella sua prima vera, autentica giornata di passione, entra con educazione sul futuro, sistema un red carpet per i suoi campioni d’Italia e sapendo che gli toccherà convivere con quegli amabili fantasmi, lascia che nell’aria s’avverta esclusivamente qualcosa di loro, ben poco di sé, elevandoli a padroni del proprio destino. «Non penso che questa squadra sia piombata in una comfort zone, non certo nel biennio alle spalle, altrimenti non avrebbe vinto lo scudetto. E comunque per questo debutto c’è entusiasmo, tanto, ma anche la volontà di far bene, ovviamente».
Frosinone è l’alba di un’esistenza fresca, un fascio di luce che acceca e scalda, la consapevolezza di doversi sistematicamente confrontare con il capolavoro riscritto da Luciano Spalletti e da quel Napoli che ha riempito di sé l’Italia, conquistandola, e sedotto anche l’Europa. «È la mia sfida e non vediamo l’ora di cominciare con la stessa voglia. La nostra filosofia non cambia, magari potremmo essere un po’ diversi, ma le ambizioni restano».
E le tentazioni si sommano: ci sarà da difendere lo scudetto, (stra)vinto con cinque giornate di anticipo ma opzionato almeno da marzo; e poi verrà la Champions, la vetrina internazionale che funge anche da bancomat, mica solo da status symbol, perché non si può fingere d’ignorare il senso pratico di questo football. «Ma un allenatore sa convivere con lo stress, ci siamo abituati un po’ tutti. Lo avvertivo anche a Lilla, quando vinsi campionato e coppe, dopo mezzo secolo circa, e poi scelsi anche di restare. E conosco questo campionato».
L’ha lasciato sette anni fa, in una grigia giornata romana, e manco il tempo di rimettere piede in Italia che s’è già accorto d’essersi calato in un universo vagamente modificato: «Ora mi sembra che ci sia una mentalità più marcatamente offensiva, perché a quei tempi erano in parecchi a giocare con la difesa a tre o a cinque».
Mentre adesso gli verrà chiesto di replicare il Napoli di quei nove mesi stellari, tutto tagli e diagonali e possesso palla e un’autorevolezza talmente spiccata da stordire: «Ma non siamo i favoriti, siamo tra i favoriti. I tornei non si assegnano con i pronostici, altrimenti il Napoli non avrebbe vinto l’ultimo. Pure stavolta ci sono club che hanno fatto mercato e si sono rinforzate e alla prima giornata avremo tutti zero punti: si sta sulla stessa linea. Noi siamo pronti e sono contento dalle risposte ricevute, dovremo imporre subito il nostro gioco. A Frosinone troveremo un ambiente euforico, com’è giusto che sia, perché la promozione in serie A porta benefici all’ambiente».
E Garcia dovrà invece lasciarsi cullare dalla gioia contagiosa di Napoli, dal talento vivo di uomini capaci di riscrivere i confini della storia: «Ho trovato calciatori con molto talento e ragazzi con grandi qualità umane. È un gruppo facile da gestire, che ama lavorare. E però, come sempre, si può migliorare». Sarà come proiettarsi nello spazio.
Fonte: CdS