L’attesa sotto il sole, le docce con gli idranti, l’entrata nello stadio pronto a ritingersi di azzurro, poi il boato: sono le 21.33 quando i Coldplay aprono il loro tour italiano a Napoli. Il coro dei 47.000 saluta come sa: «Oh mamma, mamma, mamma, sai perché mi batte il corazon, ho visto Chris Martin, ho visto Chris Martin, innamorato son».
Una festa dei sensi, ha raccontato la stampa inglese dopo gli show di Manchester, una festa ecosostenibile per quanto possibile: tutto, nel Diego Armando Maradona, parla dello sforzo della band su questo fronte, dal rigoroso dettame plastic free ai service audio, luci, laser, alimentati da batterie elettriche che sfruttano l’energia rinnovabile. Ogni biglietto venduto, e siamo a oltre 7 milioni, vale un albero piantato: un progetto di riforestazione globale, con 5.000 ettari di terreno interessati dalla piantumazione in 17 nazioni.
«Higher power» esplode quando si fa buio, il testo canta di «un ragazzo elettrico», di una lei che lo fa «cantare ogni secondo, ballare ogni ora», ma sul prato e sugli spalti sono tutti ragazzi elettrici, senza distinzioni di età e di sesso, cantano e ballano come ribelli senza causa nè pausa. Ma non sono i testi a tenere banco, o forse sì, non importa quanto poetici o alati, sono fatti apposta per il «singalong», per il coro da stadio, quasi dovessero accompagnare un goal di Kvara, che scioglie o sanghe dint”e vene, e qui lo sanno tutti.
«Grazie guagliune», Chris chiede scusa per il suo napoletano: «Ve vulimmo bene, noi abbiamo sognato da tanto tempo di cantare a Napoli e ci siamo allenati per 25 anni. Grazie dal profondo del mio cuore». Poche ore prima sui social la band aveva postato la sua felicità: «È un onore suonare nello stadio delle leggende e nella casa dei campioni».
Lo stadio delle leggende, la casa dei campioni, ricambia, eccome. Si innamora subito dei campioni del superpop, delle leggende della canzone non usa e getta. «Viva la vida» moltiplica voci e colori, che poi, persino più dei suoni, e non è detto sia un complimento, sono protagonisti di un concerto caleidoscopico come pochi. Il light show è clamoroso, anche perché moltiplicato dai braccialetti distribuiti agli spettatori che, così, divengono complici della scenografia, si illuminano anche loro secondo i colori e i ritmi del momento. Il Maradona così non si era mai visto: tutto azzurro va bene certo, ma tutto rosso, tutto giallo, un panorama inedito, un arcobaleno che non segue nessuna pioggia e garantisce, almeno per due ore, solo per due ore, il sereno.
I supporter, gli scozzesi Chvrches e la palestinese di Roma Laila Al Habash, sono già dimenticati, ammesso pure che qualcuno abbia fatto loro attenzione. Così va sul fronte del palco, c’era un tempo in cui anche i Coldplay non li conosceva nessuno, agli inizi si chiamavano Starfish. Poi canzoni come «Shiver» e «Yellow» e un album d’esordio come «Parachutes» (2000) li trasformarono in numeri uno mondiali.
Nella zona degli ospiti fanno festa anche la regina Rania di Giordania, il presidente Aurelio De Laurentiis, Luisa Ranieri, il sindaco Gaetano Manfredi, Pierfrancesco Favino, Niccolò Fabi, Valeria Golino, Matteo Paolillo di «Mare fuori», Gigi D’Alessio, Caterina Balivo, Alessia Marcuzzi, Simona Tabasco, Teo Mammuccari. Ma il più festeggiato, e non poteva essere altrimenti, è Luciano Spalletti: amore che vieni, amore che vai, i prossimi applausi saranno per Garcia, promesso, ma lasciateci dirgli ancora un grazie.
Vip e nip sono uniti dalla meraviglia per lo show, ogni brano è un colore, una visione, una tessera in un puzzle che perde per strada la suggestione iniziale della «musica per le sfere» e trova sponda in un suono mainstream che ormai si distacca dagli esordi da «Radiohead più semplici e immediati» e cerca di parlare al pianeta dei giovani(ssimi) grazie all’elettronica, a titoli-emoticon, alla collaborazione con i coreani Bts di «My universe».
Chris non è solo a smazzarsi in scena, anche Jonny Buckland (chitarra elettrica), Guy Berryman (basso) e Will Champion (batteria) conoscono l’arte dell’intrattenimento, soprattutto i primi due, che danno man forte al cantante nel passaggio dal palco delle meraviglie alla piattaforma, passando in mezzo alla folla grazie ad una passerella.
Nel «technicolour dream» dello spettacolo non c’è spazio per il bianconero, hit dopo hit l’introspezione è scacciata perché temuta, la condivisione – del canto, del ballo, degli sguardi, degli abbracci, dei sogni e dei bisogni – è la chiave dell’esperienza vissuta. Sul palco e sotto, sul prato, nei distinti, nelle curve. Psichedelia postmoderna, come in un parco giochi visionario, dove si può avere persino l’impressione, forse più che un’impressione, che la musica sia di secondaria importanza rispetto alle proiezioni spaziali, ai palloni colorati, alle esplosioni di coriandoli e fuochi d’artificio. Gli «xylobands», i braccialetti, fanno sentire il pubblico protagonista, annullano in qualche modo la quarta parete e la distanza, trasformano la periferia in centro.
Alla fine i 47.000 sciamano fuori dal Maradona dove di ecosostenibile c’è ben poco e dove oggi arriveranno altri 47.000 fan. Forse il pianeta non è meno inquinato di prima, forse lo è persino più di prima, forse i Coldplay non salveranno il mondo, ma lo sanno di sicuro divertire. Come dimostreranno anche a San Siro il 25, 26, 28 e 29 giugno.
A cura di Federico Vacalebre (Fonte: Il Mattino)