Psichiatra e creativo, anzi «creattivo», Claudio Ciaravolo è stato il cosiddetto inventore dei barattoli con l’Aria di Napoli (esposti davanti alla Biennale di Venezia) e delle boccettine con le Lacrime di Berlusconi (presenti sulle bancarelle della città nella primavera del 90, quella del secondo scudetto). Tra le sue idee anche un suggerimento rivolto negli anni 80 ai tifosi napoletani insultati nello stadio di Verona: «Scrivete su uno striscione “Giulietta è una zoccola”…». E ora, dopo il terzo scudetto, lancia il Ciuccio che vola. Un elogio alla squadra e una sollecitazione alla città. E nelle parole del dottor Ciaravolo non c’è ironia.
Il Ciuccio che vola è una metafora? «Il ciuccio è un antico simbolo del Napoli: dava all’epoca l’idea di una squadra che subiva continue sconfitte e veniva spesso umiliata. Ma, se mette le ali, anche un ciuccio può raggiungere i livelli più alti».
Ci spieghi. «Napoli è in grado di fare miracoli e rivoluzioni, come la squadra che è stata la più forte anche perché ha battuto chi non ha rispettato le regole. Se interpreti l’incredibile, puoi vincere. Deve essere un riferimento per tutti ciò che sono riusciti a fare Spalletti e i suoi ragazzi. Ecco, dunque, l’idea del Ciuccio che vola. Qualcosa di incredibile ma assolutamente proponibile anche dai cittadini di Napoli. E, sia chiaro, il simbolo in questo bozzetto lo metterei a disposizione per attività di beneficenza».
Davvero c’è stata una lezione così alta da parte della squadra? «Assolutamente sì. Giro tanti Paesi e colgo la percezione che c’è di Napoli: sbagliata per colpa di pochi. Lo scudetto rappresenta la capacità di andare oltre le Colonne d’Ercole, di saper osare. Un Ciuccio che vola è il modo per farci considerare sotto altra luce da parte chi non ha creduto in noi. Questa è una stagione che per tanti motivi i napoletani devono portare nella testa e nel cuore».
Ne è passato di tempo dal secondo scudetto e dalle Lacrime di Berlusconi. «Il viaggio lungo 33 anni si è concluso in maniera esaltante, con questi ragazzi che abbiamo fatto “diventare” napoletani perché ci piacciono i loro comportamenti. Hanno fatto un grande passo, mettendo alle loro spalle anche i più ricchi. Come accadde, lo ricordiamo tutti, anche in quel 90».
Il Mattino