Nel 1975 l’acquisto dal Bologna di Giuseppe Savoldi fece sognare Napoli per un’estate intera. Lui, era il bomber che arrivava in città per far volare sul tetto della serie A la squadra allenata da Vinicio. Era il bomber che avrebbe dovuto caricarsi la squadra sulle spalle e che al Napoli era costato due miliardi di lire. Una cifra mostruosa per quegli anni e per il club azzurro che era arrivato sì secondo nella stagione precedente ma sembrava non poter competere contro le superpotenze del nord. L’arrivo di Savoldi fu la prima grande scarica di emozioni per una città che iniziò a sognare lo scudetto, salvo poi svegliarsi alla fine della stagione con l’amarezza di non aver centrato l’obiettivo.
Ricorda quei giorni?
«Soprattutto ricordo il rimpianto per quello che è rimasto solo un sogno».
Il suo arrivo aveva acceso l’entusiasmo a Napoli per la prima volta nella sua storia.
«Ero arrivato lì per dare una mano al Napoli a conquistare lo scudetto visto che l’anno prima il Napoli era arrivato secondo dietro alla Juventus. L’intenzione era rinforzare l’attacco e in me avevano visto l’uomo della svolta».
Poi però non andò secondo i piani.
«Anche io rimasi deluso. Ma non per il mio rendimento. perché ho dato tutto quello che ho potuto, ma per non essere riusciti a portare a casa lo scudetto».
Cosa non andò?
«Rubo le parole di Vinicio, il nostro allenatore. La squadra ha reso meno rispetto all’anno precedente. E poi ci fu la partenza di Clerici che sarebbe stato la pedina fondamentale per fare coppia con me».
Insomma una coppia da sogno…
«Diciamo che noi due saremmo stati come Kvara e Osimhen sono stati quest’anno per il Napoli di Spalletti».
E allora eccoci all’attualità: che effetto le ha fatto la festa vista da lontano?
«Innanzitutto sono stato felicissimo: per lo scudetto e poi per questa festa che a qualcuno può essere sembrata eccessiva, ma io so bene cosa provavano i napoletani».
Ovvero?
«Dopo tanni anni è arrivato un obiettivo del genere. Conoscendo i napoletani mi aspettavo questo, mi aspettavo anche quei fuochi d’artificio che avrei voluto tanto vedere anche quando c’ero in campo. Anzi, sono sicuro che anche ai miei tempi avrebbero fatto questa stessa festa anche per me».
Lei parla come se fosse ancora un napoletano.
«Quando sono arrivato a Napoli sono diventato napoletano più dei napoletani. “Sei diventato uno scugnizzo”, mi dicevano gli amici napoletani».
E quindi ha festeggiato anche lei lo scudetto?
«Certo che ho festeggiato. L’ho fatto con i club napoletani di Bergamo con i quali a volte vado a vedere le partite».
Però ci dica di più del suo legame con Napoli.
«Potrei scrivere un libro per raccontare tutti gli aneddoti che mi legano a Napoli e ai napoletani».
Prego.
«Il record abbonamenti resiste da quando sono arrivato io, non l’ha superato nessuno. Anche se va detto che ho avuto la fortuna di uno stadio che aveva più agibilità. Ma non solo».
Ovvero?
«Quando giocavamo noi i tifosi non gridavano “Napoli, Napoli”, ma gridavano “Beppe, Beppe”. Sono cose che ti inorgogliscono al di là dei trofei vinti in campo. Non puoi dimenticare queste cose. Quando vai in campo devi dare tutto».
Di Lorenzo ha detto che questo scudetto li renderà uniti per sempre.
«Secondo me ha ragione, ma le sue parole vanno lette ancora più nel profondo».
Cioè?
«Non c’era bisogno di arrivare a questa partita per capirlo: se non fossero stati così uniti prima, non avrebbero vinto niente. La vittoria è il coronamento di quello che hanno fatto, l’unione che hanno mantenuto. Ma Di Lorenzo è un capitano, un calciatore e un uomo eccezionale. Ha dato qualcosa in più. Quello che lui ha fatto è incredibile: non è mai uscito dai limiti, anche nell’esultanza».
L’uomo simbolo dello scudetto?
«Non esiste un solo uomo simbolo. Ma va detto bravo a Giuntoli che ha cercato e trovato quei giocatori che servivano e avevano le caratteristiche per formare un gruppo vincente. Non è facile. C’è stata una componente generale che va divisa tra i vari artefici».
Quindi anche Spalletti.
«È stato bravo come allenatore perché ha messo in campo la squadra nel modo migliore. Penso a Osimhen: è stato determinante grazie ai compagni che lo hanno messo nelle condizione di esserlo. In un contesto vincente il campione fa la differenza».
I napoletani devono aspettarla per la festa del 4 giungo?
«Non lo so: io faccio il nonno, per tanto dipendo dai miei nipoti”.
Fonte: Il Mattino