L’intervista a Bruno Giordano: “Il Napoli di oggi non ha Maradona ma ha avuto un presidente coraggioso”

Tutto ciò che comparve trentasei anni fa, e riprese vita tre primavere dopo, riemerge dalle brume d’una malinconia durata una vita, forse appena meno: ci sono date cerchiate d’azzurro, sembrano scritte nel cielo di Napoli, e c’è stato un 10 maggio, poi un 29 aprile e stavolta c’è un 30 aprile che aspetta, nella scia d’un ricordo che parte da lontano e però arriva al cuore della gente. Trentasei o anche trentatré sono un’eternità, un tempo pieno di niente o forse di sogni, che Bruno Giordano, il centravanti di quell’87, disegna per Napoli.

 

La sera del 9 maggio del 1987, la mattina del 10, Bruno Giordano cosa pensava?
«Al tunnel del San Paolo. All’effetto che mi avrebbe fatto salire gli scalini, entrare in campo, vedere quel muro umano, emozionarmi. Quando venne l’ora e ci avviammo, avevo Lele Oriali al mio fianco, era frastornato quanto me e lo confessò: non ho mai visto niente del genere».

E come passaste la notte?
«Eravamo in ritiro a Soccavo, Maradona metteva la musica a palla, non riuscivamo a dormire. Bianchi ogni tanto veniva fuori: ragazzi, provateci, andate a letto. Facevamo i bravi per dieci minuti, poi ricominciavamo, magari girando per le stanze. Non si chiuse occhio. E anche stavolta, anche se il calcio è cambiato e i giocatori staranno a casa loro, non riusciranno ad addormentarsi. Stanno per riscrivere la storia».

Lei finì dentro quella follia collettiva.
«Che vivrà il Napoli di oggi, l’ha meritato, ha realizzato un’impresa spaziale. Nessuno, dico nessuno, poteva pensare che avrebbe vinto lo scudetto. Nessuno, e ridico nessuno, avrebbe pensato che ci sarebbe riuscito – o potrebbe farcela – con sei partite di anticipo. Non è ancora matematica, la Salernitana ha le sue motivazioni, non sarà facile, ma può succedere».
Voi eravate preparati?
«Il Napoli dell’87 aveva il più grande calciatore di tutti i tempi, sapevamo che prima o poi ce l’avremmo fatta, con lui niente era impossibile. E intorno a Diego c’erano valori tecnici e anche umani. Esisteva una società forte – Ferlaino, Allodi, Marino – un allenatore come Bianchi: quindi, le condizioni esistevano. La concorrenza era notevole ma potevamo pensarci. E riuscimmo a vincerlo, il primo di tutti i tempi».

Questo ha un sapore diverso ma eguale?
«Lo ricorda, perché trentatré anni senza vuol dire intere generazioni a digiuno di felicità. Ci saranno i vecchietti che hanno vissuto quell’epoca e la ripercorreranno; ci saranno ragazzi che ci entreranno dentro e sarà differente dai racconti dei genitori».

Analogie tra i due Napoli.
«Il Napoli di oggi non ha Maradona ma ha avuto un presidente coraggioso, capace di andare avanti per la propria strada e di credere nel progetto, meraviglioso, attuato con decisione. E De Laurentiis ha trovato in Giuntoli una specie di mago, perché puntare su Kvara e Kim testimonia capacità fuori dal normale. Al tandem è stato aggiunto Spalletti, semplicemente straordinario. La sua squadra è diventata un modello europeo, mai sazia, mai paga, un concentrato di spettacolo in Italia e in Champions, partite che restano».

Dove la vedrà?
«Sarò chiaramente a Napoli, assorbirò l’atmosfera, andrò in diretta in tv e poi mi godrò la felicità. Io so cosa si prova, ci sono passato, e sono felice che adesso tocchi a loro. Non c’è stata partita, non ci sono state rivali, schiantate tutte, come dice la classifica. C’è stata una supremazia imbarazzante che non ha caso ha definito un vantaggio leggendario».

Scelga un volto per quest’anno.
«Si fa torto a tutti gli altri, ma ci provo. Mi verrebbe da dire Spalletti, che ha inventato un gioiello raro. Un campionato stravinto in questo modo dà il senso della forza e pure quello della bellezza. E poi Osimhen, che è migliorato in maniera impressionante grazie al lavoro fatto su di lui dall’allenatore: non lo fermi quasi mai, non lo prendi, non sai cosa sta per inventarsi. E segna, segna, segna. Non era facile andare in giro con il peso di quella maglia».

La nove, che era anche di Bruno Giordano.
«Non lo dicevo per questo ma è bello ricordarsene. Napoli ti entra nella pelle, non sono luoghi comuni. Bisogna conoscere la gente, essere tra di loro. Poi ci sono i luoghi comuni e pazienza. Ma pure questi sono stati demoliti da questo scudetto. Osimhen è il centravanti del club dei Vinicio e degli Jeppson, dei Clerici e degli Altafini, dei Careca e dei Carnevale, dei Savoldi e degli Higuain, dei Mertens e dei Cavani, e se dimentico qualcuno me ne scuso. Pensi un po’ che responsabilità: essere degno di questi predecessori. E si è superato».

 

Fonte: Cds

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