Da Torino a Torino. Da Koulibaly a Raspadori. Dal sogno allo scudetto. Chi lo avrebbe detto l’estate scorsa? Mimmo Carratelli sul CdS:
L’ illusione di Koulibaly, il gigante. Il paradiso di Raspadori, il bambino. In mezzo, cinque anni da Sarri a Spalletti, tra rimpianti e nuovi sogni. Missione impossibile con Ancelotti e Gattuso. Sempre in scia, mai in testa. E d’un tratto Re Aurelio, con la perizia di Giuntoli, smonta il giocattolo, lo svecchia, ne riduce il costo, fa sanguinare qualche cuore romantico, ingaggia coreani e georgiani e, fra lo scetticismo di molti e gli improperi di moltissimi, azzarda: giocheremo per lo scudetto. Sibillo cumano a Dimaro, azzecca il vaticinio e affida a Spalletti, che ha fallito il traguardo l’anno prima, di realizzare il pronostico sfacciato. Si sa: uomini forti, destini forti.
Che cosa è cambiato cinque anni dopo per non fallire ancora? E’ cambiato che il Napoli con meno assi celebri, meno stelle trentenni, meno spogliatoio di esauriti e delusi, meno gioco di uncinetti e merletti, alla fine del ciclo aperto da Benitez è diventato una squadra nuova di personalità e carattere, di palleggio verticale, di un centravanti vero e non più finto, di irriducibili risorse dal campo alla panchina, di giovanotti con fame di gloria, di una unione di intenti e di persone che ne hanno fatto la forza.
Stavolta, a Torino, Raspadori non ha colpito per un sogno. Ha trafitto Szczesny per lo scudetto. Dal gigante senegalese al bimbo emiliano di Bentivoglio, la storia è cambiata così. Con grazia, con sacrificio, con passione, senza musi lunghi e lese maestà, con la semplicità forte di un calcio quando non è filosofia, droni, schemi, ossessione, triccheballacche e putipù. E Orsato non è più un pensiero triste che si balla. È il Napoli di un calcio senza ombre, vittimismo e patimenti vari. È l’azienda sana e vincente in una compagnia di indebitati, apprendisti stregoni, finti nababbi, trucchi e bugie. A Napoli, chi l’avrebbe mai detto?