Eleonora Berlusconi, il primo maggio 1988, volò nell’aria di St. Moritz. Il Milan quel pomeriggio si giocava lo scudetto ma papà Silvio decise di non andare a Napoli: troppa tensione. Alla vigilia volò a Milanello e parlò a lungo con i giocatori, uno alla volta, come in un confessionale. Poi raccomandò a tutti: “Ragazzi, concentrazione…”. Il giorno della partita si rifugiò con la famiglia sulle montagne svizzere e il Milan rischiò la doppia beffa. Lo staff del Jolly, albergo napoletano in cui Sacchi aveva portato la squadra a dormire, corse a sbloccare un ascensore per liberare Van Basten, rimasto clamorosamente intrappolato. Berlusconi invece dovette convincere la tv svizzera a spostare il segnale, per permettere a lui e ai milanisti oltre confine di vedere la partita. Qualche ora dopo, grande festa per tutti: Van Basten giocò un tempo e segnò, mentre Berlusconi al fischio finale esultò con la figlia, lanciata in aria e ripresa nel gesto classico di tanti papà. Negli stessi minuti, il San Paolo applaudiva Sacchi e la sua creatura.
Berlusconi, 35 anni dopo, sta bene ed è operativo come sempre. Oggi giocherà due volte, alle 15 andrà in campo il suo Monza, alle 20.45 vedrà Napoli-Milan in tv, come 35 anni fa. A ripensare a quel giorno al San Paolo, ancora si emoziona.
Che cosa le viene in mente, ripensando a quella partita, lo scontro diretto simbolo del suo primo scudetto?«Tanti ricordi, tante emozioni. Su tutte, mi commuovo ancora a pensare all’applauso che il meraviglioso pubblico di Napoli ci tributò a fine partita. Una prova di stile e di sportività straordinaria, una delle ragioni per le quali Napoli è e sarà sempre nel mio cuore. Di quella partita non posso dimenticare uno strepitoso, inarrivabile Gullit, due realizzatori straordinari come Virdis e Van Basten, ma anche un meraviglioso gol di Maradona su punizione. Uno di quei miracoli calcistici che solo lui sapeva fare».
Napoli-Milan 1988 è tra le sue gioie sportive più grandi?«Quel giorno, superando quel Napoli fortissimo, il mio Milan vinse di fatto il suo primo scudetto. Il primo trofeo di un’epopea senza uguali – condotta con uno straordinario dirigente e un vero amico come Adriano Galliani -, un’epopea che fece del Milan la squadra più titolata al mondo e che fa di me tuttora il Presidente di Club che ha vinto più titoli nella storia del calcio mondiale. Secondo la FIFA, quel Milan di Arrigo Sacchi ha giocato il più bel calcio della storia. In realtà è difficile dirlo, ma certamente l’emozione di veder giocare quella squadra, in partite come quel Napoli-Milan, era ineguagliabile. Sono contento che mio padre, che mi aveva condotto per mano, fin da bambino, a gioire e soffrire per il Milan, quel giorno ci fosse ancora».
Maradona ha raccontato di un vostro dialogo su un possibile passaggio al Milan, sfumato di comune accordo. Ci racconta come andò quella volta con Diego? Resta il rimpianto di non averlo visto in rossonero?«Un rimpianto profondissimo, e non solo perché Maradona è stato il più grande giocatore della sua generazione. Era una persona fragile, forse la disciplina e l’attenzione ai singoli che c’era nel mio Milan lo avrebbero aiutato a evitare alcuni errori. Però quel giorno, parlando con lui, mi resi conto di una cosa: Maradona era Napoli, era il simbolo e la bandiera del più grande Napoli della storia, almeno fino ad oggi. Le bandiere non si comprano e non si spostano. Sarebbe stato come prendere il cuore di un’intera città e trasferirlo a Milano. Sarebbe stato ingiusto, non si poteva fare. Lo stesso Diego, che aveva una grande sensibilità, condivideva questa valutazione».
Il Napoli di Spalletti ha tutto per piacerle. C’è un calciatore del Napoli che apprezza molto?«Giocatori come Kvaratskhelia oppure Osimhen ben figurerebbero in qualunque squadra al mondo. In questo senso l’infortunio di Osimhen è davvero un peccato: toglie alla sfida con il Milan un elemento di grande fascino. In ogni caso, oggi il Napoli è davvero una grande squadra, una delle migliori in Europa, sta dominando il campionato con assoluto merito e per il Milan sarà un avversario durissimo».
Dovendo aggiungere Kvaratskhelia o Leao alla rosa di uno dei suoi grandi Milan, chi sceglierebbe?«Difficile rispondere, sono due grandissimi giocatori che hanno caratteristiche diverse. Forse Kvaratskhelia è un giocatore più completo, però Leao è più “da Milan”, ha uno stile di gioco che nei momenti migliori mi ricorda i più grandi del nostro Milan».
Come valuta la stagione del Milan? Confermerebbe Pioli per la prossima stagione?«Devo fare una premessa: io sono sempre un tifoso del Milan e ovviamente guardo le vicende dei rossoneri con grande partecipazione. Ma sono anche l’ex-presidente del Milan e oggi il presidente di un’altra squadra di Serie A. Non sono dunque in condizione di dare consigli di questo genere, anche per rispetto dell’attuale proprietà. Posso solo dire che ho molta stima di Pioli e che quella del Milan è davvero una stagione strana, un po’ a fasi alterne. Il Milan ha giocato delle partite bellissime ma ha avuto cedimenti inspiegabili».
Pioli intanto è a cinque partite dal riportare la Champions League al Milan, a 16 anni dalla sua ultima vittoria. Può essere l’allenatore giusto per riportare la Coppa ai milanisti?«Le ripeto, Pioli ha dimostrato di essere un grande allenatore vincendo lo scudetto della scorsa stagione, ma non sta a me dare valutazioni di questo tipo. Io mi limiterò a tifare Milan, con un po’ di sofferenza, perché Napoli è davvero la mia “seconda città”, a cui sono legatissimo anche da ragioni familiari. E poi ho scritto più di cento canzoni in lingua napoletana!».
Che cosa pensa del suo Ibrahimovic in campo a 41 anni?«Zlatan Ibrahimovic è un grande campione, ha un carattere e una forza mentale che sono inarrivabili».
Che cosa gli consiglia: meglio giocare ancora o smettere? Magari lo vede nel ruolo di presidente di un club… alla Berlusconi.«So che ha ancora tanta voglia di giocare: solo lui può decidere fino a quando. Penso che la sua personalità sia importantissima in campo e nello spogliatoio. Per il futuro, io sono sicuro che nel mondo del calcio continuerà a ricoprire ruoli importanti: ha l’intelligenza e il carisma necessario per riuscire bene qualunque cosa decida di fare. Il suo know-how sarà prezioso come allenatore o come dirigente».
Un altro suo ex calciatore ha in mano i destini del Milan fuori dal campo. Ha sempre contatti con Paolo Maldini? Le fa effetto vederlo alla guida del Milan?«Paolo era una guida per il Milan in campo e lo è oggi dalla sua scrivania di dirigente. Con lo stesso carisma, lo stesso stile, la stessa lucidità e competenza».
Qualche domanda per questa sua nuova vita da proprietario del Monza. Palladino è la grande scoperta del club per il 2022-23. Pensa di aver trovato un altro allenatore destinato a una grande carriera?«Siamo molto soddisfatti di Palladino, con la sua conduzione tecnica – e sotto la guida di Galliani – il Monza sta giocando un campionato fra i migliori mai disputati da una squadra alla sua prima stagione in Serie A. Palladino è un giovane allenatore con un grande futuro. Ne apprezzo non solo le idee tecniche, ma anche lo stile e la determinazione».
Rinnoverà presto il suo contratto?«Di contratto siamo d’accordo di parlare, anche per ragioni scaramantiche, solo a salvezza matematicamente acquisita, ma in verità i nostri obbiettivi sono più alti».
Come proprietario di un club di A, avrà di sicuro idee per risollevare il calcio italiano. Qual è la strada da percorrere?«Il gap che si è creato rispetto alle squadre inglesi, tedesche, spagnole, è difficile da colmare nella situazione attuale. Quest’anno in realtà ci sono indizi confortanti: la presenza di sei squadre italiane nei quarti di finale delle coppe europee, fra le quali tre in Champions, è un segnale di ripresa della qualità del nostro calcio. Però le nostre squadre scontano due handicap. Il primo sono gli stadi, obsoleti, scomodi, nella maggior parte dei casi con cattiva visibilità per colpa della pista di atletica. Questo scoraggia il pubblico e riduce i ricavi. Il secondo tema, ancora più importante, sono i diritti televisivi. Senza adeguate risorse che vengano da quella che oggi è una essenziale fonte di finanziamento, è davvero difficile costruire squadre competitive».
Per chiudere, un sogno calcistico. Quale calciatore, in un mondo ideale, porterebbe in questo Milan?«Haaland o Mbappé. Sono il presente e il futuro del calcio. Ma mi lasci terminare questa intervista con un “forza Milan”, che mi viene dal cuore».
Fonte: Gazzetta