«Se vuoi ti do il titolo per questa intervista». Guillermo Coppola tra un anno festeggia mezzo secolo da procuratore di calciatori. «Ero funzionario di banca a Buenos Aires e appassionato di calcio. Iniziai nel 74, con il trasferimento del portiere Osvaldo Santos dal Lanus, squadra di serie B, al Barcellona». E allora il titolo per l’intervista? «Il Napoli come l’Argentina: una vittoria in omaggio a Maradona. Ma si può dire che è stato vinto lo scudetto? Quante partite mancano?».
Ancora undici e il Napoli ha 19 punti di vantaggio sulla seconda.
«Non bisogna mai urlare prima della vittoria, però».
Il titolo funziona. Mondiale della Seleccion e scudetto del Napoli, come accadde in quegli undici mesi dall’86 all’87. E Coppola era al fianco di Maradona.
«Di questi cinquant’anni nel calcio i più belli, cinque, li ho trascorsi a Napoli con Diego. E non parlo solo delle vittorie. Penso al calore che la città diede a Maradona, alla sua famiglia e a chi è stato al suo fianco dall’85 al 90. Sentivo sempre l’affetto della gente. Certo, poi nei momenti delicati si doveva trovare qualcuno con cui prendersela e arrabbiarsi: e quel qualcuno ero io».
Il Napoli si prepara a festeggiare lo scudetto. I suoi ricordi dei giorni dell’87 e del 90?
«Meravigliosi. Li rivivo a distanza di migliaia di chilometri osservando i video e le foto che arrivano da Napoli. Il rapporto tra la città e Diego è sempre forte. E una ragione c’è al di là delle vittorie».
Quale?
«In quegli anni a Napoli che ratificarono ed esaltarono il suo valore Maradona fu fedele alla maglia e alla città. Lui ebbe un solo obiettivo, fin dal primo giorno: sfidare e battere il Nord, essere autentico uomo del Sud e vero cuore di Napoli».
Eppure, due anni prima di quel contatto col Marsiglia, vi era stato l’interessamento di uno dei più vincenti club del Nord: il Milan di Berlusconi. Anno 1987, quello del primo scudetto del Napoli.
«La storia è questa. Andai a Milano per trattare con la Mondadori la pubblicazione dell’autobiografia di Diego. Ecco, quel giorno venne fuori il discorso del Milan. Il club che cominciava a diventare grande con Berlusconi, Sacchi e tanti campioni voleva capire se vi fosse la possibilità di prendere Maradona. Tornato a Napoli riferii a Diego e a Claudia, sua moglie. Fu una “charla”, una chiacchierata, di trenta secondi a casa sua. Zero possibilità di andare via, lui era totalmente legato al Napoli. Era un napoletano in più e qui ha trascorso una vita felice. Tutti l’abbiamo sentita come la nostra città».
E questo amore si è rafforzato nel tempo.
«Diego ha lasciato un’eredità importante e negli anni i tifosi si sono legati particolarmente agli argentini che hanno indossato la maglia azzurra. Penso a Lavezzi o a Simeone, bravissimo ragazzo e ottimo calciatore. Spesso parlo di Napoli con Bertoni, che fu compagno di Diego nel primo anno. Abitava a Marechiaro, anche lui si sentiva un napoletano in più».
Quasi mezzo secolo di calcio e una vita sempre piena.
«Organizzo la Coppa d’Argentina da undici anni e alcune amichevoli della Seleccion, l’ultima proprio pochi giorni fa. Sto seguendo una serie televisiva dedicata alla mia vita. Nella storia di un uomo ci sono alti e bassi, quello che conta è sentire l’affetto della gente. E io lo sento. Ho incrociato i ragazzi della nazionale: Messi, Dibu Martinez, Fernandez, quanto affetto da parte loro e del presidente federale Tapia. Vedono in me un pezzo di Diego e un pezzo di calcio. Questo sentimento lo considero una vittoria».
Le piacerebbe organizzare una partita del Napoli campione d’Italia in Argentina?
«Moltissimo. Sarebbe un ulteriore modo per rafforzare il rapporto che si è creato grazie a Diego. Ne dovrei parlare con il presidente De Laurentiis, un uomo che ha fatto grandi cose negli anni e ha meritato queste soddisfazioni. Ma si può dire quella parola?». Sì, la parola scudetto si può dire: grazie alle vittorie del Napoli i tifosi hanno messo in soffitta la scaramanzia e tirato fuori le bandiere azzurre.
A cura di Francesco De Luca
Fonte: Il Mattino