Come prima e (forse) anche più di prima: Napoli-Milan è adesso, è sempre, è un tormentone che per sedici giorni riempie il calcio, lo soffoca e lo domina, in Italia e in Europa, con folate di forcing dialettico che attraversano più o meno quarant’anni, riconducono a quelle sfide lì, Diego contro Ruud per dirne una, e che Nando De Napoli ha vissuto da dentro, annusando l’aria di due mondi, l’uno e l’altro, che può mettere a confronto con questo modernismo partenopeo che ruba la scena ai contemporanei e si propone per la Storia.
De Napoli, facciamo un gioco: il Napoli di ieri, quello di oggi e il Milan di Sacchi. Lei è il giudice.
«Chi si prenderà improperi, qualsiasi cosa dica. Ma ci sto: noi avevamo Maradona, dentro una grande squadra che avrebbe potuto anche vincere di più. Ma loro fecero la rivoluzione. Me li ricordo ancora mentre ci facevano il pressing anche negli spogliatoi o nell’intervallo….».
E c’è un dolore che non è sparito.
«Lo scudetto dell’88, quando ormai sembrava fosse nostro, ce lo portarono via a Napoli, con una partita impetuosa: non lo sapevamo, nessuno poteva immaginarlo, che stava per cominciare qualcosa di leggendario».
Trentasette anni dopo, riecco Napoli e Milan, tre volte in sedici giorni.
«E questa di Spalletti è un’altra squadra che può caratterizzare un’epoca, breve o lunga che sia. Giocano meravigliosamente bene, ti fanno innamorare. Io ho quasi smesso di guardarli, non c’è mai partita in campionato. Ma la Champions è diversa, si parte da 0-0, non valgono i ventitré punti di vantaggio in campionato, anche se al tifoso fa male sentirselo dire. Ma in quei 180′ può capitare qualsiasi cosa».
Cosa l’ha colpito di quest’anno?
«La facilità di palleggio, e anche la varietà di schemi, che è stata impressa da Spalletti. In un periodo in cui, nonostante nelle coppe ci sia tanta Italia, si parla di crisi del nostro calcio, è arrivata una generazione di fenomeni che ti incanta. E noi molti di questi non li conoscevamo. Vanno applauditi tutti, per questa impresa: De Laurentiis che ha avuto il coraggio di cambiare, senza preclusioni; Giuntoli che ha saputo cercare, con i suoi uomini, talenti pazzeschi; e l’allenatore che ha avuto un ruolo rilevante, perché l’assemblaggio non era scontato. C’è come una magia dentro questo Napoli».
Lei visse due vite, una al San Paolo e un’altra, piena di problemi, a San Siro.
«Andai al Milan perché qui era finito il nostro tempo, Ferlaino decise di intervenire e ripartire. Diego era già partito, era rimasto niente di quella favola. Capello mi volle, mi spiace non aver potuto ricambiare la sua stima e la sua considerazione: arrivai con un ginocchio praticamente fuori uso, non ebbi mai la possibilità di offrire un minimo contributo. Ero stato acquistato per sostituire, nelle idee iniziali, Ancelotti; giocai frammenti di partita e il mister, bravissimo, nella seconda stagione dovette inventarsi Desailly centrale a metà campo».
Napoli-Milan in tre atti: cosa vuol dire?
«Tutto e nulla. Spalletti e Pioli si conoscono, non possono e non vogliono nascondersi. Uno vuole lo scudetto aritmetico; l’altro non può perdere punti per la Champions. La prima gara peserà psicologicamente, ma sono i rossoneri che hanno da perdere qualcosa, forse la tranquillità per entrare nei quattro. Però sono curioso di vedere cosa succederà».
La Storia, come si dice, conta?
«Certo che sì, ma fino a un certo punto. Perché il Napoli ha trovato la chimica giusta e certe emozioni le sa combattere con quel senso dello spettacolo che non ha avuto rivali, né in campionato e né in Champions. Ma torniamo alle valutazioni di sempre: guai sentirsi favoriti in situazioni del genere. È un errore che non verrà commesso, ne sono certo, da chi pure sembra sia lasci preferire: per me, 50% e 50%».
Le danno la possibilità di dare un nome da titolare da una parte e dall’altra, ci provi.
«Sarebbe semplice dire Osimhen, Kvara o Lobotka per il Napoli ma io punterei su Anguissa, un giocatore straordinario, che rende semplici le giocate più difficili, che occupa lo spazio, lo nega agli avversari, ruba palloni, attacca. Un leone. Mi ricorda il Desailly di quegli anni. E nel Milan, ovvio che qualcuno penserebbe a Giroud o a Leao o a Theo Hernandez, ma io andrei diritto su Tonali: ha pulizia di calcio, dinamismo, determinazione. Lui e Anguissa sono luce».
Il simbolo, non solo tecnico, per lei è un altro.
«Di Lorenzo si stacca per distacco: è cresciuto tatticamente ma soprattutto ha mostrato una personalità che merita la sua fascia da capitano. Serio, taciturno, intelligente, in campo ti dà una enormità di soluzioni e fuori è una figura rassicurante».
Siamo dinnanzi al futuro?
«Il Milan ha fatto benissimo l’anno scorso, lo scudetto se lo è guadagnato anche attraverso la politica societaria. E il Napoli sta cancellando chiunque, con una idea alternativa. D’altro canto, se anche il Bari sta andando bene in B, vuol dire che De Laurentiis ci sa fare, ha fiuto con i suoi collaboratori e si lascia illuminare tecnicamente. Il resto appartiene alle sue capacità».
Il calcio non le manca, ha detto.
“Ma gli sono riconoscente perché ho fatto quello che volevo, mi ha regalato benessere ed emozioni. Ma vado poco allo stadio, preferisco la tv, neanche sempre. Però Napoli-Milan in tre puntate non si può perdere».
Fonte: CS