Sarà un po’ come intrufolarsi nel Pantheon per starsene tra gli Dèi di un’epoca antica e di un’era moderna: sarà come adagiare la memoria e la fantasia dentro ad un pallone e lasciarle rotolare con leggerezza tra modernità ed eternità. Napoli-Milan e poi Milan-Napoli e poi ancora e di nuovo e definitivamente Napoli-Milan ruberanno lo spazio, forse anche l’aria, prenderanno il passato e lo sistemeranno accanto ai giorni nostri, magari al futuro, trascineranno nel solco del ricordo di quei favolosi anni ‘80, rappresenteranno l’incantesimo d’un calcio già vissuto e però da rivivere in appena 384 ore ma ripensando a trentasette anni fa, a quando c’era la Ma.Gi.Ca, e cioè Bruno Giordano tra Maradona e Careca o Carnevale. Perché quel senso di magia rimane.
È come se avessero fermato il tempo, Giordano?
«Ci stanno riportando indietro a quel Napoli-Milan epico. Ora come allora, c’è la Storia: noi la facemmo vincendo il primo scudetto, questi ragazzi la stanno riscrivendo sublimando il calcio».
Analogie, se ne trova.
«C’è un senso di allegria che appartiene al Napoli attuale e che riconduce al nostro. La forza di un gruppo eccezionale, che in noi veniva esaltata da Diego – ovviamente – ma che apparteneva anche ad altri calciatori umani e comunque, lo dico con umiltà sia chiaro, straordinari, stavolta la rivedi nell’allegria e nello spettacolo che Osi e Kvara riassumono».
Furono momenti di splendore, quelli, e questi non sono poi così diversi.
«In Italia c’era il meglio del calcio mondiale, ce la giocavamo contro club che avevano giocatori da urlo, non c’era straniero di spessore che non volesse venire qua. Ma il vantaggio di diciannove punti sulla Lazio, la capacità di rendere felici che mostra il Napoli di Spalletti finisce per avvicinare queste epoche».
A lei è rimasto un dolore.
«Il secondo scudetto potevamo vincerlo nell’88, quando cedemmo in maniera inaspettata e incredibile. Avessimo avuto una società un poco più attenta e capace di fronteggiare quella crisi, forse il Milan non sarebbe riuscito ad approfittare delle nostre défaillance. Ma ormai è andata, devo rassegnarmi».
Tre partite in sedici giorni come andranno interpretate?
«La prima, mi creda, darà in qualche modo un indirizzo psicologico alle altre, perché finirà per azzerare tutto quello che è successo in campionato. Non dico che il vantaggio non conti, però diventerà relativo anche alla luce delle strategie di Champions, che sono diverse: lì ci sono 180’ minuti in cui ci metterai dentro ogni dettaglio, anche quello che non ti appartiene, un episodio costruito dal destino, una svirgolata, un errore sotto porta o del difensore, un raffreddore. Bisognerà calarsi in una realtà che ignori gli otto mesi precedenti».
Un fattore «invisibile» esiste?
«Ed è la Storia. Il Milan l’ha fatta, la sa raccontare con Maldini, con Baresi, i giocatori la vivono quando arrivano a Milanello e attraversano i saloni dei trofei. Il Napoli vuole regalarsela. Ha un’occasione irripetibile, però non cambio il mio pronostico del girone: ognuna avrà il 25% e Spalletti fa benissimo a mantenere questo profilo basso. In cuor loro, lui e i calciatori, sanno di aver vinto lo scudetto ormai da un mese, ma non se ne curano: vanno a Torino e sullo 0-2 cercano il terzo gol, poi il quarto. Così si allena la testa. Complimenti davvero».
Scegliere a priori un protagonista sa di azzardo.
«Sarebbe semplice puntare sugli attaccanti, da una parte e dell’altra, o sul carattere e la personalità di alcuni singoli. Ma per me queste partite le decide il centrocampo e io punto su Lobotka, su Anguissa e su Zielinski. Rappresentano, nella combinazione, il talento e l’equilibrio allo stato puro, fanno filtro e creano, hanno la capacità di rendere semplici procedimenti complicati».
Si comincerà il 2 aprile al «Maradona», si andrà a San Siro, si tornerà il 18 per decidere chi si sarà meritato i quarti di finale.
«La sosta qualcosa modificherà, in entrambe, ma la natura rimarrà quella. Il Napoli di oggi sembra di un livello superiore, io lo metto al fianco di Real Madrid, di Bayern e di Manchester City, ma la Champions sfugge totalmente a previsioni. Se ripensiamo all’ultima edizione, ce ne rendiamo conto».
Questo Napoli può «vendicare» quel suo primo maggio dell’88?
«Sarebbe una rivincita, se andasse in un certo modo. Può aprire un ciclo, come lo fece quel Milan di Sacchi che venne a vincere al San Paolo. Lì nacque quella favola. L’avessimo pareggiata, chissà, magari sarebbe successo altro. Ma questi sono i se ed i ma. Io con il Napoli di Spalletti mi diverto, c’è un calcio internazionale, una mentalità aperta, una disinvoltura nel rendere incantevole il gioco. Magari non sarà stavolta, perché il pericolo è dietro l’angolo, ma qui ci sono le basi per costruire qualcosa di immenso e di duraturo».
Quasi quasi, sta passando in secondo piano il campionato…
«Nei discorsi, è fatale che accada. Ma nella realtà, quando la matematica annuncerà il terzo scudetto, sono curioso di vedere la festa di Napoli. Sono trascorsi trentatré anni dall’ultima volta, gran parte dei tifosi che vanno allo stadio non hanno avuto la possibilità di godersi i primi due, parecchi non erano nati oppure stavano nelle fasce. E poi, arrivarci in questo modo, con una cavalcata solenne».
Fonte: CdS